Como: sono passati vent’anni
dal pugno di Ferrigno a Bertolotti

Una storia infinita. L’ex azzurro: «Ne sono uscito solo grazie all’affetto della città»

Quel pomeriggio di 20 anni fa era più buio del solito. Erano le 17.30 del 19 novembre 2000 e il capitano del Como Max Ferrigno era un giovane di 26 anni disperato, un’anima in pena che gironzolava nell’oscurità di via Borgovico, senza telefono (lasciato nello spogliatoio), senza poter essere rintracciato da chi freneticamente lo cercava (compagni dirigenti, soprattutto avversari per spaccargli la testa), fuggito, nascosto, mimetizzato con il sogno di sparire per davvero, non dallo stadio, ma dalla scena. Dissolversi in Cometa. E chiedeva ai passanti che ora fosse.

Il fatto

Aveva appena colpito con un pugno tremendo l’avversario ed ex compagno al Brescello Francesco Bertolotti, un’ora dopo la fine della partita, dopo le interviste, dopo che l’adrenalina era scesa, e i pensieri di tutti stavano tornando al lunedì o alla partita successiva. Ma quella era Como-Modena, come fosse Como-Mantova di due anni fa, “La partita”. E soprattutto lui aveva capito, dalla reazione di tutti, dalle urla, dalla disperazione dei presenti, che l’aveva fatta grossa: Bertolotti svenuto, con una doppia emorragia intracranica e un trauma cranico grave. Per questo, a tutti il cielo di quel pomeriggio sembrò più buio, silenzioso, triste di un semplice crepuscolo autunnale. Angoscia, lampeggianti della polizia, lo stadio trasformato in una scena del crimine, magistrati al posto di arbitri, indagini al posto di moviole, interrogatori al posto di interviste.

Tutto era nato da un parapiglia in campo: il modenese Quaglia che entra su Ferracuti duro, fallo, Quaglia espulso, mischia attorno all’arbitro. Bertolotti che si agita per protestare, Ferrigno che gli dà una manata come per dire “piantala lì”, l’arbitro estrae il rosso anche per Ferrigno. Che, guardate le foto, ha la faccia di chi gli è crollato il mondo addosso. Stop. Moviola. Replay. Se non contestualizziamo, non capiamo. Ferrigno era il capitano di un Como dove per età ed esperienza la fascia avrebbe potuto andare ad altri: Manzo, Carruezzo, Brevi. Preziosi e Dominissini scelsero lui per responsabilizzarlo e perché tecnicamente era il migliore, ma tendeva a defilarsi dal gruppo. Riservato, solitario. Per questo quella fascia era ancora da oliare. Si sentiva sotto osservazione, Max. E temeva che quell’espulsione potesse rilanciare la discussione sul grado. Un inganno, una beffa, una buccia di banana del destino proprio nella partita che tutti, da Preziosi all’ultimo dei tifosi aspettavano da un mese. Per questo Bertolotti assunse l’immagine del traditore, dell’ingannatore, del braccio armato del destino. Un’ora dopo il match, i due si incrociarono nel corridoio, col borsone sulle spalle. Scintilla, battibecco, pim pum pam. Soprattutto pam. Bertolotti fu trasportato a Lecco, operato nella notte, fece nove giorni di coma indotto. Dovette smettere di giocare, riprendendo a lavorare per la Immergas. E lui, Max? Chiuso in casa, assediato dai giornalisti di mezza Italia, distrutto, affranto, sotto psicofarmaci. Uscì di casa dieci giorni dopo. Tornò a lavorare nel Como un anno dopo (marketing). Tornò in campo a fine qualifica 3 anni e mezzo dopo.

Oggi Ferrigno si è sposato, vive a Jesolo, produce abbigliamento sportivo (Hs il marchio, l’anno scorso vestì il Como) anche per la Ferrari. «Cosa riprovo guardando indietro a 20 anni fa? Dolore. Cosa devo provare? Un gesto stupido, casuale. Le liti nel parcheggio raramente finiscono con un dramma. E se si ripetesse quella scena, non succederebbe nulla. Molti parlano della fascia, ma la realtà è che c’era tensione perché era Como-Modena. Eravamo tutti sovraeccitati. Bertolotti? Fosse stato un altro, sarebbe successo uguale, non è vero che fu perché era un mio ex compagno. Ricordo i giorni successivi. Stavo male, un incubo. Non volevo più uscire di casa».

Nessuna pace

La pace, l’incontro, il gesto risolutore però non c’è mai stato, in 20 anni: «Io chiamai poco dopo il fatto la moglie, ma era troppo presto e capii. Poi la cosa fu talmente grossa che, tra avvocati e attenzione mediatica, strategie difensive e fake news, fu impossibile fare un gesto naturale. Noi offrimmo 500mila euro che loro rifiutarono, e poi il processo mi portò a risarcirne 200mila. Ci chiamò “C’è posta per te”, ci offrì una cifra spropositata, ma io rifiutai. Chi mi aiutò? Preziosi, i compagni, gli amici ma soprattutto la città di Como. Senza il suo appoggio forse non sarei mai uscito ad quella storia. La vittima era lui ma vi assicuro che anche per me non è stata una passeggiata. Se ho chiesto scusa? L’ho chiesto da subito». E Bertolotti. Niente più calcio, ha fatto altri due figli (e sono quattro in tutto) e di questa storia non vuole più sentir parlare: «Vi ringrazio del pensiero ma per favore, basta!».

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