Ebagua, un gol alla banalità
«Como eccomi qui»

L’attaccante si racconta: «Giocavo da difensore, mi piace cambiare squadra»

Ben venga la schiettezza e la lotta alla banalità. E ben vengano i gol. Dunque, benvenuto Giulio Ebagua. Un giocatore di calcio che ti dice “io non seguo il calcio”, uno che dice “ho scelto quella squadra perchè mi pagano di più”, un tipo così. Con una vita, anche, e una crescita calcistica non banali.

Italiano o nigeriano?

«Torinese nato in Nigeria. La mia famiglia viveva già in Italia, sono tornati lì per farmi nascere, perchè sono il figlio primogenito».

Torinese vero, tifoso del Toro.

«Sì, tifoso granata cresciuto nel settore giovanile del Torino».

Dove hai fatto un po’ di tutto, persino il difensore centrale.

«Ho giocato tanti anni dietro le punte, trequartista. Poi alla fine del settore giovanile, intorno ai vent’anni, in un’amichevole contro la prima squadra serviva un difensore centrale e hanno messo lì me, ho giocato un po’ così. Ero bravo a rubare palla agli avversari, in quel ruolo andavo bene. Ma era anche frequente nel nostro settore giovanile il fatto che ci facessero provare più ruoli. È utile».

Una formazione calcistica importante, una carriera abbastanza in movimento.

«Mi piace girare l’Italia, mi piace cambiare squadra, mi piace “vagabondare”. Di tutte le esperienze ho un buon ricordo.

Il periodo professionale più importante direi che è stato quello di Varese, quello in cui ho avuto la possibilità di giocare e segnare di più, quello in cui sono “esploso”».

In due anni la promozione dalla C1 alla B e l’anno dopo un’ottima stagione chiusa con i play off per la A.

«Sì, bello. Sono stato molto bene».

Poi però via anche da lì. E successivo ritorno con polemiche.

«Beh, avevo l’opportunità di tornare al Torino, era una possibilità importante per me e l’ho presa. Prima al Toro, poi al Catania in serie A, era giusto provarci. A Varese

avevano preso male il fatto che io me ne fossi andato per provare qualcosa di meglio, di più importante. E così quando tornai sono stato attaccato. In che modo è ovvio, l’unica cosa a cui potevano attaccarsi, il colore della pelle. Poi però ci parlammo, ci furono chiarimenti, tutto sistemato. Varese resta una bella pagina»

Hai detto “io non seguo il calcio”. Che significa?

«Significa che mi piace giocarlo, non guardarlo. Non sono uno che si tiene informato a tutti i costi su quello che succede in serie A o in B, non sono uno che guarda le partite. Sono un giocatore».

E sei anche molto sincero sulle motivazioni economiche delle tue scelte.

«Io vengo pagato per fare i gol. Mi piace farlo, ma è il mio lavoro. Per esempio, tre anni fa ho scelto lo Spezia, anche se avevo opportunità migliori a livello di categoria, perchè lì mi pagavano di più. Chiaro, se poi in un posto non ci sto bene non resto per forza, non contano solo i soldi».

C’è un particolare importante, il numero di maglia che avrai nel Como.

«Giocherò con il 21. Un numero che mi è molto caro, è il giorno in cui ho conosciuto mia moglie, ed è un numero importante per la mia famiglia». Lui “non segue il calcio” e forse non se lo ricorda. Noi sì. Quel numero lo portava sulla schiena, in serie B, Lulù Oliveira...

Leggi l’intervista completa a Giulio Ebagua su La provincia di sabato 15 agosto

© RIPRODUZIONE RISERVATA