I Guidetti, una storia tutta azzurra
«Papà, e Rossi? Bello come un gol»

Il vice allenatore del Como è figlio dell’ex centrocampista

Uno, Mario Guidetti, ex centrocampista di Como, Vicenza (il mitico Real Vicenza), Napoli, 69 anni; l’altro Max Guidetti, 43 anni, ex attaccante di Lumezzane, Spezia, Cremonese, oggi vice allenatore di Jack Gattuso al Como. Segni particolari? Sono padre e figlio. E allora siamo andati a casa loro, sul Lago d’Orta, per raccontare una storia (non solo) azzurra.

Chi l’avrebbe detto, tutti e due a Como...

MAX: Io ci sono nato. Nel 1976.

MARIO: Sì, per caso. Invitai mia moglie, incinta, a vedere l’appartamento che mi aveva assegnato Livio Prada, vicino alla salita per Brunate. E proprio quella notte si ruppero le acque. Partorì grazie al dottor Mascetti al Sant’Anna.

Dunque, Max, ti senti comasco. Almeno un po’?

MAX: Certo che sì. Quando venivo a Como a giocare da avversario, transitavo nel corridoio dove c’erano le foto delle squadre del Como. E accarezzavo sempre quella di papà. Un posto speciale per me.

Mario, un posto speciale? Conferma?

MARIO: Confermo. Ho fatto tre anni . Una promozione in A con Marchioro, una retrocessione in B con Cancian-Bagnoli, una mancata promozione in A con Bagnoli, mezzo anno con... Rambone.

Perché fa quella voce lì?

Eh, Rambone era strano eh... Tipo particolare. Certe volte leggeva le formazioni delle partitelle, ed eravamo in 12... Che personaggio. Faceva ritiri lunghissimi. Smontava gli avversari parlandone male, una volta disse che Virdis era un fantasma, ma ci fece due gol... Poi lo ebbi a Napoli, ed era tutta un’altra persona.

A Como la portò Marchioro.

Mi allenava nel Verbania con Calloni, Libera, Butti, Salvadori... Mi feci subito male ma partecipai alla promozione. Quando Tardelli andava sù, io lo coprivo.

Marchioro era speciale.

Lui e Bagnoli super. Però non capivo il training autogeno. Veniva uno a parlarci, a dirci che eravamo i migliori... Io stavo in ultima fila e dicevo: ma non possiamo andare in campo a giocare?

Un aneddoto?

C’era quel fenomeno di Sguazzero, preparatore illuminato, che faceva le partitelle con noi. Correva come un matto, era un olimpionico. Ma non la toccava mai. Allora gli dissi: stai vicino a me che qualche palla vedrai che la tocchi. E così fu. Questa cosa la racconta anche lui nelle conferenze. (ride)

Pensa al Sinigaglia e cosa vede?

Uno stadio pieno, rumoroso, la Curva Monumento, una città appassionata, innamorata della squadra. Li ho rivisti due anni fa a Gozzano, erano tanti, mi sono quasi emozionato.

Ma adesso brontolano di più, vero Max?

MAX: Mah, non lo so. Gli stadi sono chiusi, non ho ancora visto. Ci mancano, i tifosi.

MARIO: Melgrati, Fontolan, Garbarini, poi quello bravo... Pozzato, ecco. Lui era forte eh.

Poi c’era Paolo Rossi.

Allora non era ancora pronto. Veniva dalla Primavera. Ma poi...

Poi giocaste insieme nel Vicenza dei miracoli.

Il mio esordio in biancorosso: Atalanta-Vicenza 2-4, due gol Rossi e due gol miei. A Vicenza misero lo striscione: “Con Rossi e con Guidetti vinceremo gli scudetti”. Nacque un’amicizia.

Che squadra. La formazione era uno scioglilingua.

Sono orgoglioso di averne fatto parte. Tanto. Gente che correva. Cerilli e Filippi due treni, Salvi il cervello, io il faticatore. E Rossi faceva gol. Per i 40 anni ci hanno invitato al Teatro Palladiano. Mica lo aprono per tutti, eh...

Chi era Rossi?

MARIO: L’altro giorno ho sentito la sua risata in un documentario, mi è venuta la pelle d’oca. Era uno semplice, sempre sorridente, che aiutava, faceva gruppo, non se la tirava. Ti ricordi Max?

MAX: E come no? Nel bar in centro, quella volta...

Racconti...

MARIO: Ero a Vicenza per fare delle pratiche per la pensione, tanti anni dopo. Entro nel bar dove andavo da calciatore, mi fanno festa. Poi guardo in un angolo e c’è lui, Paolo, come un avventore qualunque. In due minuti mi aiutò a fare quelle pratiche. Giusto fare il funerale a Vicenza. Era uno di casa, si muoveva come un vicentino vero.

Era bravo?

Bravo? Aveva una dote fondamentale: essere al posto giusto al momento giusto. Sembrava lì per caso, ma nè io nè lei faremmo gol nella stessa situazione. Mio figlio Max sì, invece..

Che padre è stato per Max? Nel calcio intendiamo...

Assolutamente non invadente.

Vero Max?

MAX: Assolutamente. Non mi ha mai spinto, mi ha lasciato libero, non ha mai fatto pressione sugli allenatori. Il calcio è una mia passione.

MARIO: Il presidente della società biellese dove giocava si sorprendeva: Mai lei non dice mai nulla? No, perché lui deve fare la sua strada.

Beh, avere un calciatore di serie A come padre aiuta...

MAX: La passione mi è venuta automatica. Non mi ricordo gli anni di Como e Vicenza, ma a Napoli gli chiedevo di portarmi al campo. Che bello. Palleggiavo con i suoi compagni. E quel matto di Castellini mi nascondeva dentro uno scatolone di cartone e poi urlava a mio padre che ero sparito.

Napoli era una metropoli. Diverso da Vicenza.

Altra esperienza bellissima, un anno eravamo addirittura in lotta per lo scudettto. Ma io lo scudetto potevo vincerlo in un’altra occasione.

Dove?

A Verona. Feci due anni in gialloblù, al terzo anno Bagnoli voleva tenermi, a fare da chioccia, ma preferii andare ad Ancona con Bagnoli. E il Verona vinse lo scudetto! E poi ce n’è un’altra da raccontare.

Prego.

Finale di Coppa Italia Verona-Juventus, 1983. Vinciamo l’andata 2-0, nel mezzo la Juve perde la finale di Coppa Campioni con l’Amburgo e nel ritorno sono assatanati e ci battono 3-0. A fine partita sono affranto seduto in panchina e Platini mi fa: deluso eh? Credo mi voglia prendere in giro, invece aggiunge: immagina noi la settimana scorsa... Comunque quella partita la ricordo anche perché Rossi mi regalò la sua maglia. La conservo ancora a casa.

Amici del Como?

Volpati. Lo vedo ogni anno a Cavalese, dove abita. Che ridere, quando ceniamo assieme telefona sempre a Joe Jordan per salutarlo.

Ora suo figlio è a Como. Felice?

MARIO: Un cerchio che si chiude. Spero di poter venire a vedere una partita presto.

MAX: Hai visto papà, sono venuti sin da Como apposta per intervistarti. Allora eri importante...

MARIO: Da non credere. Magari è merito tuo, se no mica venivano...

Risata!

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