Quattro fratelli, tutti infermieri
«Le lacrime nascoste dal sudore»

La storia di una famiglia in prima linea nella lotta contro il virus

uattro fratelli, quattro infermieri. E, contando le cognate e i cognati, il numero sale a sette su otto. «Anche nostro padre è stato infermiere. Per quarant’anni. È il mestiere che amiamo. Oggi ancora di più».

Raffaele Mautone è il maggiore. È lui a raccontare, con orgoglio e un pizzico di commozione, «l’impegno dei miei fratelli, in prima linea in queste settimane». Non che lui non lo sia. Lavora a Lugano, al Cardiocentro. È strumentista in sala operatoria. E il primo paziente affetto da Covid lo ha visto sul tavolo operatorio: «Ho sudato cento camice. Era il primo caso che vedevamo, ne avevamo discusso, avevamo sentito le notizie e ritrovarselo lì, un paziente positivo, beh... la paura di restare contagiati ci ha toccati tutti. Ma la procedura ha funzionato e lui, alla fine, è anche guarito».

Passione e dolore

I fratelli, si diceva. Valerio lavora al Sant’Anna. Vive a Fino Mornasco, accanto a Raffaele e alla sorella Maria. Pure lei lavora al Sant’Anna: «Anche mia moglie fa l’infermiera a San Fermo – spiega ancora Raffaele Mautone – Io ci ho lavorato per 15 anni, prima di trasferirmi in Svizzera. Al Sant’Anna i miei fratelli sono in prima linea: Maria lavora nel reparto Covid, Valerio invece è stato trasferito in rianimazione per questa emergenza». Infine c’è Valeria: «Lei è tornata a lavorare in ospedale a Napoli, dove vivono anche i nostri genitori. Diciamo che per loro, in questo momento, siamo la preoccupazione principale: hanno paura che possiamo ammalarci. Ma sono anche orgogliosi per quello che facciamo».

Raffaele, strumentista in emodinamica per anni al Sant’Anna, parla del lavoro suo e di quello dei fratelli non come una missione, quanto piuttosto una passione: «È un mestiere che amiamo. Certo, in queste settimane è tutt’altro che facile. Siamo testimoni di una tragedia e gestire le emozioni è difficilissimo. Mio fratello Valerio dice: per fortuna sotto gli scafandri sudiamo, così le lacrime si mescolano al sudore e possiamo non mostrare la commozione davanti ai pazienti». Raffaele lo chiama «sudore bugiardo» ma necessario: «Così riesci ad andare avanti».

Essere una famiglia di infermieri nell’era del coronavirus non aiuta neppure nei rapporti tra parenti: «Ci sono stati momenti in cui ci siamo messi in autoisolamento, i miei fratelli al Sant’Anna sono stati sottoposti a tampone. Quando torniamo a casa non abbracciamo né figli né nipoti» e non sono pochi. «Noi ne abbiamo tre, uno mio fratello Valerio e due mia sorella Maria» tutti vicini di casa, ma quantomai lontani in queste settimane. «Ieri ci siamo scambiati alcune fotografie – prosegue Raffaele – di noi bardati o di mia sorella Maria con il volto segnato dagli occhiali e dai presidi di autoprotezione. Come se non ci avessi mai fatto veramente caso ho pensato: cavoli, tutti infermieri». In un momento così, non un mestiere facile. Anzi. Raffaele Mautone prova a vederla con ottimismo: «Passerà questo periodo». Ma per il momento questo è il periodo che siamo chiamati a vivere. E i fratelli Mautone non si tirano indietro. «Mio fratello, in rianimazione, ne vede tante di persone che soffrono. Anche mia sorella, che lavora in chirurgia, ora diventato reparto Covid, passa il giorno intero a curare persone affette dal virus». Molti superano le crisi. Qualcuno muore: «Appena sappiamo che un paziente è guarito, ci attacchiamo a lui e andiamo avanti, nonostante tutti quelli che non ce la fanno».

Amiamo questo mestiere

Gira le foto dei fratelli via whatsapp e commenta: «Vedere mio fratello sotto uno scafandro... mi emozione» commenta, con la voce rotta, da buon fratello maggiore. «So che ha paura, tutti abbiamo paura, ma non lo dà mai a vedere». Perché, lo si è detto tante volte, passi l’idea degli eroi, ma dietro quelle mascherine e quelle tute e quegli occhiali ci sono donne e uomini, che convivono con i timori, le speranze, le sofferenze. Donne e uomini dimenticati in anni di tagli d’organico e stipendi non adeguati.

«Speriamo che poi non si dimentichino di noi, quando tutto questo sarà finito – commenta Raffaele - Io in 14 di lavoro in Italia ho fatto un passaggio di classe. Mi auguro per i miei colleghi che ci sia il coraggio di rivedere i contratti». Anche se la passione per questo mestiere va al di là dell’aspetto economico: «Siamo una categoria molto affiatata. Ci stringiamo nei momenti difficili. Ci fidiamo gli uni degli altri». Si ferma. Ci pensa e sembra quasi vederlo sorridere mentre al telefono garantisce: «Io questo lavoro lo amo».

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