Andrea, il sorriso della vita
«La scuola mi stava stretta»

Su Diogene (in edicola tutti i martedì con La Provincia) una storia di indipendenza e di impegno: «Non ce la facevo più a stare seduto al banco. Ora sono più sereno»

Che Andrea Esposito ami il suo lavoro si capisce da come volteggia fra i tavoli, sistemando una posata che era leggermente fuori posto, ripulendo il più impercettibile alone sui calici. La sua storia è quella di un ragazzo affetto dalla sindrome di Down, diventato ormai un pilastro del ristorante Cibooooh di Como. Da sette anni, infatti, ci lavora come cameriere, una storia lunghissima, resistita a cambi di gestioni e di colleghi, iniziata su impulso e con il sostegno dei suoi familiari. Un modo per rendersi autonomo e uscire finalmente dal mondo della scuola, che iniziava a stargli stretto.

Dalla scuola al lavoro

«Il mio ultimo anno alla Ripamonti è stato un incubo, andavo d’accordo con compagni e professori, ma non ce la facevo più a starmene seduto tutto il tempo - ricorda - facevo un sacco di scenate, ero difficile da gestire, ora sono più sereno». Parte senza esperienza ma senza farsi scoraggiare, «ho imparato il mestiere sul campo», mi dice, mentre il suo collega interviene con un lusinghiero «è precisissimo, so che con lui non posso sbagliare, mi corregge spesso». E soprattutto si mantiene sempre occupato.

Quando lo incontro manca ancora qualche ora al pranzo, ma è già indaffarato nell’apparecchiare tavoli e sistemare sedie. Andrea è estremamente, forse inconsapevolmente, umile. Rilassato dall’arrivo del suo collega, inizia a snocciolare aneddoti di imprese che per chiunque altro sarebbero motivo di vanto, mentre per lui rappresentano la normalità: «Una volta ho attraversato a nuoto il Lario», mi butta lì sorridendo. O ancora: «Certe volte vado al trotto fino alla Valle D’Intelvi». Tra le varie passioni che ha, infatti, viene fuori anche che a San Fermo, dove abita coi suoi genitori e con la nonna per qualche giorno a settimana, ha un cavallo regalatogli da suo zio, Yellow, che cura insieme all’operatore Franco Spatafora: «Io e gli altri camerieri a volte lo prendiamo in giro, gli diciamo che ci facciamo la bresaola», interviene ancora il suo collega mentre Andrea ridacchia.

Quando non è a San Fermo, Andrea vive a Como, in via Teresa Ciceri. Insieme a lui, tre coinquilini - Sabrina, Davide, Maria Grazia - e tre operatori che si impegnano per essere il meno invasivi possibile e potenziare le abilità specifiche di ciascuno: «Andiamo d’accordo, ci dividiamo i mestieri di casa, chiacchieriamo», commenta sereno Andrea. Un altro passo verso l’indipendenza inserito in un progetto più ampio per l’autonomia abitativa, “Le chiavi di casa”, portato avanti dall’associazione DownVerso. Un percorso iniziato in un appartamento in comodato d’uso in via Cavallotti e poi proseguito grazie all’incontro provvidenziale con la fondazione Scalabrini. Ormai è pratico di tutti i bar della zona, che frequenta spesso insieme ai suoi compagni di viaggio. In questo teatro luminoso, dotato di un soggiorno con televisore, un giardino e un ampio terrazzo che proprio in queste settimane, con l’arrivo della primavera, diventano l’ideale per pranzi in compagnia, nascono legami profondi.

«Sono particolarmente legato a Davide, il ragazzo con cui divido la stanza - continua - Oltre a convivere ci facciamo partite al bowling o andiamo al cinema». Ma «solo per i film 3D e 4D», precisa, gli altri sono meno interessanti. D’altronde, il part time gli permette di coltivare diverse passioni. Su tutte emerge con particolare insistenza quella per il nuoto: «Ho iniziato quando avevo 3 mesi e non ho più smesso», racconta. E, sempre senza un filo di boria, aggiunge: «Ho appena partecipato a un campionato agonistico nelle Marche in tre stili diversi, sono arrivato secondo a ogni gara!».

Un grande amore

Anche se l’acqua è il suo elemento, il vero amore della sua vita è un altro: «Adoro mia nonna Celeste, senza di lei non potrei vivere - esclama - Abbiamo un modo di comunicare tutto nostro, io le parlo in valtellinese, poi ripeto tutto in italiano perché è un po’ sorda, poi torno al valtellinese e di solito la terza volta è quella buona». Una presenza importante, che ha voluto rendere ancora più partecipe del suo mondo: «Abbiamo festeggiato qui i suoi 96 anni, con tutta la famiglia e coi miei colleghi», mi dice contento. Più tardi lo vedo all’opera, volteggia tra i tavoli in uniforme inamidata, serio e concentrato. Un veterano benvoluto da tutti, meticoloso come mi era stato descritto. Un impiegato modello anche secondo il proprietario Ciro Schifaudo, che ne parla come del suo «braccio destro». E soprattutto, sorridente perché felice di essere presente e di fare la sua parte.  

Sara Bresciani

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