Anna, storia di una rinascita
«Ora aiuto altri a guarire»

Trentatré anni, comasca, nello sport ha trovato un’occasione per vincere la sfida contro la malattia mentale

Appoggiata sulla scrivania c’è una cartelletta rossa con i conti dell’associazione. A sinistra, due raccoglitori contengono fogli diversi posizionati in maniera ordinata uno sopra l’altro. Di fronte a lei un’agenda con gli appuntamenti giorno per giorno segnati in penna, la custodia in pelle del drum e il laccio con cui Anna gioca e si avvolge le dita, mentre racconta come sono andati gli ultimi anni della sua vita, srotolando con precisione e calma i pensieri e le emozioni, gli stessi che quando corrono troppo veloci creano scompiglio nella testa.

«Non sono nel consiglio direttivo della Global Sport Lario - tiene a precisare -. Mi occupo dell’organizzazione e della contabilità per otto ore la settimana. Mi piace, sono una persona precisa».

Anna (il suo cognome è Peregalli), ha 33 anni, è di Albiolo e in questo mondo c’è entrata piano piano. Nel 2015, grazie all’acqua gym alla piscina Sinigaglia, ha incrociato la realtà nata con lo scopo di promuovere lo sport fra le persone che interagiscono con i servizi di salute mentale: «Poi sono passata alla pallavolo - racconta - ed è stata una bellissima riscoperta: era la disciplina che praticavo quando ero adolescente. Adesso, purtroppo, ho meno tempo. Inoltre, dopo essermi operata ai legamenti del ginocchio, devo fare molta attenzione: al momento ho smesso di giocare, ma chi lo sa in futuro. Riprendere non sarebbe male».

La macchinetta dei pensieri

Fare attività fisica, in alcuni frangenti, aiuta e molto: «È fondamentale e serviva a rilassarmi. Io ne avevo un sacco bisogno, dovevo e volevo spendere un sacco di energia. Aiuta a risvegliare le attività motorie addormentate, è come imparare di nuovo a muoversi. Perché quando ci sono le crisi, il movimento ne risente. Quando stavo male, la “macchinetta dei pensieri” non si fermava mai. È come se davanti a me scorressero i titoli di coda di un film a una velocità supersonica dove a malapena riuscivo a cogliere la prima parola mentre faticavo a mettere a fuoco il resto. Oppure, al contrario, tutto sembrava al rallentatore e io, a mia volta, mi muovevo con enorme lentezza. Quando stavo male, era un’impresa complicata anche concentrarmi per aprire il tappo di una bottiglietta di plastica. L’attività fisica mi dava beneficio».

I problemi di disagio mentale sono arrivati nel passaggio fra l’adolescenza e l’età preadulta: «Con il senno di poi - confida - alcuni campanelli avrei potuto coglierli già prima. Ma era difficile capire e avere consapevolezza di come agisse la malattia sulla mia vita quotidiana, sui miei interessi e la mia voglia di vivere. Vivevo tutto come se mi capitasse. Sono una persona curiosa e ho sempre fatto tanta ricerca su di me: mi ha aiutato tantissimo il rapporto fra pari. Confrontarmi con altri con problemi simili, speranze e angosce, magari fra i corridoi del centro diurno e nelle aule del laboratorio è stato cruciale: sentire cosa pensavano e condividere quanto ci accadeva è un passaggio fondamentale».

Umanizzare i percorsi di cura

Forse per questo Anna oggi è un’esperta di supporto fra pari, vale a dire una persona che trae dalla propria esperienza un punto di forza in grado di fornire una diversa prospettiva per se stessa e per i pazienti. Non si sostituisce agli operatori ma, forte del suo vissuto, riesce a “umanizzare” molti percorsi di cura. È una prova del possibile cambiamento e offre quella quota di speranza possibile solo da chi ha attraversato la malattia in prima persona. Un bell’esempio di serenità e coraggio.

Ora, rispetto a tre anni fa, Anna sta molto meglio: con una laurea in Disegno industriale al Politecnico di Como («non ero al “top” della forma: poteva andare meglio, specie per la tesi»), dalla “sua” scrivania al San Martino organizza con puntiglio le attività dell’associazione: «Ho delle basi, forse per certi versi “precarie”, però su cui posso fondare la mia salute - conclude -. Cosa direi alle persone? Se dovessi proprio dare un parere, direi a tutti di ricercare sempre se stessi con passione e impegno, provando a vivere in maniera autentica la propria vita. Ognuno ha il sacrosanto diritto d’essere quello che è fino in fondo, e se c’è qualcosa che rema contro bisogna andare a vedere di cosa si tratta, senza paura. A chi non si sente bene, consiglierei di rivolgersi a qualcuno di esperto e ascoltare cosa dicono le persone vicine: gli amici, i famigliari, chi ci vuole bene. È importante usare e avere fiducia nei servizi, sebbene da fuori possano anche non ispirare. Non c’è nessuna colpa, è importante sottolinearlo, nello stare male».

Per questo, è importante superare tutti insieme lo stigma sociale connesso alle malattie mentali, chiudendo in un cassetto i pregiudizi e aprendoci alle diversità. In fondo, guardiamoci allo specchio: da vicino, nessuno è normale.

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