Carla Fracci a Como
«Passo dopo passo
la mia vita per la danza»

Tutto esauritoSala piena per la serata a Unindustria

dove ha ripercorso la sua straordinaria carriera

«Il ballerino preferito? Ognuno aveva le sue doti»

Pubblico delle grandi occasioni ieri sera nella sala di Unindustria per un incontro con un’artista nostrana celeberrima in tutto il mondo. Carla Fracci è l’icona della danza italiana nel mondo, un simbolo di dedizione, di grandissima professionalità, un talento unico ammirato da tutti, dai più severi critici di danza al grandissimo pubblico che l’ha incoronata regina dei palcoscenici più prestigiosi del mondo, a Los Angeles, Mosca, L’Avana, Tokyo, Londra e, naturalmente, Alla Scala dove tutto iniziò con l’ingresso nella scuola di ballo del teatro milanese.

L’autobiografia

Tutti racconti che si ritrovano nell’autobiografia “Passo dopo passo. La mia storia”, pubblicata da Mondadori e al centro di questo incontro assieme alla giornalista Aurora Marsotto, a sua volta autrice de “Il ritorno dell’étoile” per Il Battello a Vapore - Piemme Junior. Quest’ultimo è un volume dedicato ai ragazzi dove Carla Fracci riveste il ruolo della protagonista, ospite di una scuola di danza che sta preparando una messa in scena della “Giselle” di Adolphe Adam (forse il balletto con cui è maggiormente identificata la grande danzatrice). Conosce tre ragazzi, Viola, Philip e Julio, e gli insegnerà i segreti della sua arte.

L’interesse dei giovani

Un lavoro, questo, studiato per raccontare la danza a giovanissimi dai nove anni in su. Ma la ballerina e la giornalista non sono unite solo da quest’opera: assieme sostengono Fira, la Fondazione per la ricerca delle malattie reumatiche.

Non solo parole, ma anche immagini. Quelle meravigliose di “Giselle”, alla fine degli anni Sessanta, con Erik Bruhn, partner prediletto. Un filmato che ancora oggi mozza il fiato per il virtuosismo sposato alla classe nella definizione di uno stile altissimo. “Allora, cosa volete sapere?”, chiede un’antidiva sempre sorridente. “Io ho cominciato senza sapere cosa fosse la danza - racconta - È stata un’amica dei miei genitori a consigliarli di portarmi alla Scala. Io credevo di imparare il valzer, il tango, quei balli di sala che conoscevo, invece mi sono ritrovata alla barra, a imparare quella prima posizione che, poi non abbandona mai una ballerina”. Alle sue spalle scorrono immagini di una vita, gli incontri, i personaggi, Barishnikov, Nurejev, la Alonso, i balletti, la famiglia, «Una vita lunga - commenta - Forse ci vorrebbe un’enciclopedia per contenerla tutta», scherza. «La cosa affascinante del teatro è che tu devi interpretare eroine, o personaggi completamente differenti come Medea». E queste differenze si rispecchiano nel modo di ballare. «Tecniche diverse di levità, di come appoggiare il piede: dare l’impressione che tutto sia facile mentre c’è dietro un grande lavoro. Soffermarsi sui dettagli: qualcuno dice che è noioso. Adesso si montano gli spettacoli in gran fretta».

Il proliferare delle scuole

Ricordi: «Ho danzato in tutto il mondo con i più grandi ballerini. Mi hanno chiesto chi preferivo, ma ognuno aveva le sue particolarità. Ho portato la danza dappertutto quando ho fatto il “Decentramento”, con uno sforzo enorme perché portavo il balletto intero. “Perché non balli da sola?”, mi chiedevano». Grazie a questo impegno sono proliferate le scuole di danza anche nei piccoli centri. «Non avevano capito niente: ora si raccolgono i frutti. Sono gratificata dall’affetto delle persone che mi ringraziano. Era importante, facevamo tante audizioni, volevamo dare lavoro ai giovani. Pochi giorni fa una signora mi ha detto che mi aveva visto a Jesi, ne “Il lutto s’addice ad Elettra”. I teatri volevano me, dicevano che potevo venire da sola, ma per me era una pugnalata e significava non capire e in questi anni sono state smantellare tutte le compagnie fisse tranne quelle di Milano, Roma e Napoli».

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