Como, Processo paratie
Gilardoni: «Sì, ho commesso errori
Ma il carcere è stata un’ingiustizia»

L’ex dirigente comunale risponde alle domande del pubblico ministero. «L’incarico ricevuto per la pratica di Salita Peltrera? Era lavoro, non un viaggio alle Maldive»

Como

Era un incarico «delicato, complesso, che mi interessava da un punto di vista professionale... Certo, mi veniva retribuito, ma si trattava di un lavoro, non mi stavano regalando un viaggio alle Maldive».

La seconda puntata della lunga audizione di Pietro Gilardoni - ingegnere, ex direttore dei lavori sul cantiere per la realizzazione delle paratie, imputato dei reati di rivelazione di segreto, turbativa d’asta e di corruzione nell’ambito del maxi processo sul piccolo “Mose” di casa nostra - si rivela, alla fine, interessante almeno quanto la prima, lo scorso 21 febbraio. Difficilissima da sintetizzare (Gilardoni ha affrontato molti temi, rispondendo prima alle domande del pm Pasquale Addesso, quindi a quelle dei suoi difensori Luisa Scarrone ed Edoardo Pacia), la sua testimonianza ha offerto ancora spunti di “lettura” del capo di imputazione un po’ diversi da quelli della Procura.

Come nel caso del contratto di lavoro che l’architetto Roberto Ferrario gli offrì per il collaudo di un edificio, a mo’ di apparente ricompensa per l’impegno che Gilardoni profuse a beneficio della pratica “Salita Peltrera”, cioè nel tentativo di allargare la strada a beneficio del pubblico ma - con soldi del privato - in modo che l’impresa Hymothep potesse anche procedere al restauro di un vecchio edificio da anni in stato di degrado avanzato: «Accettare quel lavoro fu un’ingenuità - ha convenuto l’imputato - ma me ne resi conto solo dopo. Oggi capisco che quell’incarico, il suo affidamento, avrebbero potuto essere interpretati come una “utilità”».

Con un certo distacco (la sua voce è parsa incrinarsi soltanto quando si è trattato di ricordare le diverse lettere di revoca di incarichi ricevute durante la detenzione) l’ex dirigente comunale ha ripercorso anche i mesi trascorsi dietro le sbarre, a partire dall’alba del suo arresto, 1 giugno 2016.

«Mi svegliarono alle 5 e mezza, ma capii che mi avrebbero arrestato soltanto quando il maresciallo della guardia di finanza mi invitò a preparare una borsa con qualche effetto personale. Mi portarono prima nella caserma della Guardia di finanza di Albate, poi al Bassone. Le manette? Certo che le avevo, se è per quello si portano sempre, anche quando si va a Milano per il riesame. Un tantino esagerato, forse, ma è il regolamento».

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