Como, ucciso dal monossido
Sei anni dopo
si riaprono le indagini

Raffaele, operaio in pensione, aveva 63 anni quando morì nel suo appartamento di Ponte Chiasso. Il Comune aveva sostituito tutte le caldaie, tranne la sua

A sei anni e mezzo di distanza, il tribunale di Como riapre, un po’ a sorpresa, un caso che si riteneva ormai morto e sepolto, al pari del suo sfortunato protagonista, un ex operaio tessile in pensione, Raffaele Donadio, 63 anni, trovato esanime nell’agosto del 2011 nel suo appartamento di Ponte Chiasso, stroncato dal monossido di carbonio fuoriuscito dalla caldaia di casa.

Riletta attraverso i documenti con cui il tribunale in questi giorni ha ordinato alla Procura un corposo supplemento di indagine, la storia di questa tragedia diventa in realtà un compendio di alcuni dei peggiori vizi della nostra burocrazia, pigra, approssimativa, deresponsabilizzata, quando non addirittura letale.

Donadio morì un giorno d’estate, con le finestre di casa spalancate. Un caldo boia. L’esito degli accertamenti del medico legale lasciò tutti parecchio perplessi. Di monossido si muore d’inverno, con i termosifoni in funzione, mica sotto il solleone. E invece, come ricorda la tenacissima Miriam Antonaci, l’avvocato che da allora affianca i figli della vittima nella loro battaglia, le indagini consentirono di accertare che l’avvelenamento era stato progressivo, anni di intossicazione lentissima, e che probabilmente la situazione era peggiorata nelle ultime ore perché il padrone di casa si era deciso a imbiancare. Pensate un po’: le ripetute aperture e chiusure del rubinetto dell’acqua tiepida necessaria a diluire la vernice e a pulire i pennelli, avevano probabilmente innescato altrettante accensioni della caldaia; la massa di monossido era cresciuta di conseguenza, e le finestre spalancate su quell’estate comasca non erano bastate a evitare la tragedia.

Il punto però non è questo. Il punto è il Comune, gli uffici tecnici, gli addetti alla manutenzione dei condomini. Risulta che nel 2007 Donadio avesse scritto a Palazzo Cernezzi lamentando la cattiva manutenzione del suo impianto di riscaldamento. Quella lettera avrebbe dovuto salvargli la vita ma - benchè protocollata, quindi pacificamente pervenuta agli uffici competenti - non produsse risposte, né ci sono firme, sigle o timbri che consentano, ad oggi, di risalire all’identità di colui che, in Comune, materialmente la ricevette salvo poi , eventualmente, dimenticarla.

Dopodiché bisognerebbe capire anche altro: per esempio come sia stato possibile che, nel 2009, l’amministrazione avesse provveduto alla sostituzione di tutte le caldaie di tutti gli appartamenti dello stabile dimenticandosi di quella di casa Donadio, l’unica rimasta al suo posto.

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