Coronavirus, i dati
«I morti in Lombardia
sono più di ventimila»

Marco Farina, ingegnere informatico, ha promosso il progetto Data4Covid19 per studiare l’evoluzione dell’epidemia attraverso i dati

Il business di Logol AG è focalizzato su progetti Digital Transformation e Intelligenza Artificiale ma in questo periodo Marco Farina - ingegnere informatico di origine comasca e Ceo della società - ha creato una piattaforma per studiare attraverso i dati l’evoluzione dell’epidemia.

Qual è l’obiettivo del progetto Data4Covid19 e per quale ragione avete ritenuto necessario dedicarvi tante risorse?

Data4Covid19 è un progetto senza scopo di lucro creato con l’obiettivo di rendere le persone consapevoli della diffusione di Covid19 attraverso l’analisi e la presentazione dei dati. Il progetto attualmente copre diversi paesi tra i quali Italia, Svizzera, Francia e Stati Uniti oltre ad avere un sinottico relativo a tutto il mondo.Il progetto, realizzato e mantenuto da volontari con background matematico e ingegneristico, utilizza dati provenienti da fonti pubbliche ufficiali al fine di fornire a qualsiasi cittadino una visione oggettiva e comprensibile dello scenario attuale. Un modo che abbiamo per aiutare medici e infermieri, che ogni giorno combattono questa battaglia negli ospedali, è aiutare le persone a comprendere il perché delle misure adottate dai vari governi, al fine di ridurre i contagi e di conseguenza la pressione sul sistema sanitario. Le risorse dedicate a tale progetto sono importanti poiché il tema trattato è delicato, richiede molto impegno e non si può affrontare con superficialità. I dati presentati sul sito data4covid19.com sono solo la punta dell’iceberg di un lavoro molto impegnativo ed accurato che quotidianamente ci porta a raccogliere dati, uniformali, analizzarli e in fine presentarli, oltre a pensare continuamente a nuovi modi per comunicare in modo chiaro ed efficace informazioni così delicate.

Come procede l’analisi dell’evoluzione dell’epidemia e qual è l’ultimo report?

Le analisi proseguono incessanti tra difficoltà e motivazioni crescenti; da un lato il reperimento dei dati si rivela ogni giorno più complicato, tra fonti non sempre complete e metodologie di raccolta che richiedono continue verifiche e attente interpretazioni; dall’altro lato la pressante esigenza di comprendere meglio questo fenomeno, spinta dalla curiosità e dal senso di urgenza dettato dalla crisi epocale in cui siamo immersi. Uno dei risultati derivanti da questa contrapposizione è l’ultimo report che abbiamo realizzato, un’analisi che consente di visualizzare quali potrebbero essere nelle aree più colpite il numero reale delle vittime dell’epidemia e i positivi ad oggi. Questo lavoro è stato realizzato incrociando dati raccolti su più anni da più fonti indipendenti e certificate, ed è pensato per colmare l’incompletezza dei report ufficiali ormai sempre più parziali.

Da questa analisi emerge per esempio che nella sola Lombardia potrebbero essere oltre 21.000 i decessi attribuibili in modo diretto o indiretto all’epidemia, molti di più degli 8.000 ufficialmente dichiarati al 3 aprile e i contagiati spingersi fino a 2 milioni. Tra i decessi rientrano ovviamente tutti quelli avvenuti nelle case di riposo e più in generale nelle località dove il sovraccarico del sistema sanitario ha impedito degli interventi tempestivi ed ha lasciato al proprio destino ammalati a cui non è stato possibile fornire un’assistenza adeguata, mentre tra i positivi rientrano ovviamente anche asintomatici e guariti con sintomi lievi.

I numeri che emergono da questa nostra analisi sono perfettamente allineati con quelli forniti pochi giorni fa dall’ Imperial College di Londra, una delle fonti più autorevoli in materia, che stima a fine marzo per l’Italia quasi 6 milioni di possibili positivi. L’analisi dell’Imperial College ha un approccio epidemiologico, noi invece siamo partiti dai decessi per comune comunicati dall’Istat relativi agli anni precedenti e applicando delle tecniche di proiezione e regressione siamo riusciti a ricostruire i numeri presentati nell’analisi disponibile sul sito data4covid19.com.

Se in Lombardia è stata raggiunta una diffusione così estesa è possibile immaginare che la curva dei contagi inizi la parabola discendente?

In via teorica per riscontrare una riduzione del contagio in seguito alla saturazione dell’epidemia, ovvero alla mancanza di persone sane che possano contrarre il virus, il contagio dovrebbe coinvolgere oltre l’80% della popolazione e fortunatamente anche secondo le stime più pessimistiche dovremo essere ancora lontani da queste cifre. È più probabile che diventino evidenti gli effetti delle misure di contenimento intraprese, ma è bene ricordare che affinché questi effetti possano proseguire, è indispensabile il contributo di ciascuna persona nell’osservanza delle norme precauzionali raccomandate.

Va anche osservato che non vi è ad ora evidenza scientifica circa la possibilità per un contagiato di evitare ricadute, perciò, è indispensabile non fare troppo affidamento su strategie come l’immunità di gregge, per lo meno fino a quando non sarà introdotto un vaccino testato ed affidabile.

La diffusione del virus in Lombardia e Svizzera è analoga? E quali le differenze con gli Usa?

La diffusione del contagio è avvenuta con alcune caratteristiche uniformi ed altre peculiari per ciascun paese. Per esempio, in tutti i paesi il contagio ha avuto andamenti pressoché esponenziali e si è propagato a macchia d’olio partendo da alcuni focolai ben identificabili. Ogni paese però mostra anche caratteristiche uniche, come ad esempio il numero di nuovi contagi generati da ogni paziente infetto, o la penetrazione dell’epidemia nelle varie fasce di età e l’impatto conseguente in termini di mortalità.

Per esempio, in Italia, a causa delle consuetudini che prevedono un maggior contatto fisico tra le persone e un’alta socialità condivisa tra giovani e anziani, il contagio è stato particolarmente rapido sia nella popolazione in generale sia nelle fasce più a rischio. In Svizzera l’andamento dell’epidemia risulta più lento rispetto all’Italia (l’incremento dei decessi nell’ultima settimana è stato di circa il 10% al giorno, mentre l’Italia in questa fase cresceva di quasi il 30% al giorno), probabilmente anche grazie a contatti fisici meno frequenti.

Negli Stati Uniti invece la propagazione risente soprattutto della lentezza con cui il sistema ha reagito e per questo si sono generati decine di focolai prima che le prime norme contenitive fossero attuate. Ciò ha causato un’incredibile crescita nei contagi che in pochi giorni ha superato tutto il resto del mondo e purtroppo si tradurrà in un elevatissimo numero di morti che potrebbe raggiungere il centinaio di migliaia.

Sulla base dell’evoluzione in Cina è possibile fare previsioni su una tempistica per il progressivo rilascio della fase di lock-down?

Lo studio dei dati ci insegna che il rilascio del lock-down dovrà necessariamente avvenire in modo graduale, e le tempistiche con cui si svolgerà dipenderanno principalmente dalle modalità di esecuzione. Un rilascio troppo rapido potrebbe comportare la ripresa dell’epidemia, fenomeno osservabile in Asia, ed il conseguente reinserimento delle norme precauzionali (ad esempio dopo una prima riapertura in Cina hanno già dovuto richiudere tutti i cinema nelle aree più a rischio).

È possibile che alcune misure prese possano rimanere in vigore per molti mesi e, se le forniture lo consentissero, è probabile che l’utilizzo delle mascherine in pubblico diventi una consuetudine a cui dovremo abituarci per lungo tempo, così come dovremo probabilmente rinunciare per parecchio tempo alla partecipazione a eventi collettivi come i concerti o le partite allo stadio. D’altro canto, possiamo attenderci una conclusione delle misure più stringenti, come la chiusura delle attività produttive non indispensabili, nel giro di settimane, ma sono ovviamente solo ipotesi. Nel medio termine invece una contrazione eccessiva dell’economia a livello globale potrebbe causare persino più vittime dell’epidemia, alcuni studi evidenziano come una riduzione del 5% del PIL sul medio termine si traduce in una riduzione di un anno dell’aspettativa di vita, e dunque sarà inevitabile ricercare una soluzione d’insieme che possa conciliare tutte le esigenze presenti: sanitarie, economiche e sociali.

Quanto può essere importante in emergenze di questo genere l’utilizzo dei dati? È possibile immaginare un diffuso controllo dei parametri vitali e degli spostamenti della popolazione?

In generale, ma soprattutto in situazioni di emergenza avere dati sui quali poter basare valutazioni oggettive e unbiased è fondamentale, molto spesso quando si è sotto pressione si tende a prendere decisioni di impulso o dettate dall’emotività, quando però l’esito delle scelte ha impatto su migliaia per non dire milioni di persone non ci si può permettere un approccio del genere ed è fondamentale basarsi sui dati.

L’aspetto positivo paradossalmente in questo caso è il tempo, ogni giorno che passa abbiamo a disposizione sempre più dati e possiamo applicare tecniche in intelligenza artificiale sempre più evolute al fine di estrarre informazioni rilevanti. Non dimentichiamoci che SARS-CoV-2 è un virus nuovo e alcune sue caratteristiche sconosciute potrebbero emergere non solo da un’analisi puntuale dello stesso, ma anche dalle correlazioni che emergeranno degli innumerevoli dati che abbiamo e avremo sempre più a disposizione. Per quanto concerne il monitoraggio dei parametri vitali in modo massivo ed autonomo siamo a mio avviso ancora lontani da un progetto efficace, reputo quindi difficile un’applicazione immediata, discorso differente invece per il monitoraggio degli spostamenti, approccio che potrebbe risultare sicuramente utile al fine di contrastare la diffusione del contagio quando le misure di contenimento si rilasseranno, a condizione però che queste tecnologie vengano utilizzate in modo massivo. L’approccio attuato fino ad ora in Italia su questo fronte non è comunque a mio avviso corretto: ogni regione si è mossa in modo autonomo e con applicazioni differenti, la centralizzazione del dato sarà invece la discriminante tra il successo o meno di questa iniziativa. Purtroppo, molti anni di cattiva gestione del sistema informativo italiano, frammentato e con dati che non si parlano tra di loro, non sono serviti come lezione e siamo ancora in attesa di un’applicazione unica, semplice e immediatamente utilizzabile a livello nazionale, che per inciso, se ci pensate bene, potremmo già avere a disposizione.

La vostra società ora è focalizzata su questo progetto no-profit, quali sono gli ambiti del vostro business?

L’adesione a questo progetto è stata una scelta volontaria limitata ad alcuni dei miei colleghi, ma l’azienda resta focalizzata su progetti di Digital Transformation e di Intelligenza Artificiale che in questo periodo sono d’importanza vitale per molti dei nostri clienti. Certo le competenze sviluppate nei nostri ambiti di business si stanno rivelando particolarmente utili per studiare e comprendere un fenomeno così complesso come questa epidemia dove il reperimento e l’analisi dei dati sono utili solo se guidati da un approccio scientifico e dal desiderio di cambiare in meglio la nostra società.

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