Coronavirus. il lavoro
Fermi a Como
100mila addetti

A casa il 65% dei lavoratori dell’industria. Jolanda di Nuzzo (Consulenti lavoro): «Sulle norme è il caos»

Il 40% dei lavoratori comaschi ha sospeso la propria attività lavorativa in seguito alle chiusure delle aziende previste dai decreti governativi dell’11 e del 22 marzo. Il dato emerge da un’analisi della Fondazione studi dell’Ordine dei consulenti del lavoro.

Per quanto riguarda i settori, resta a casa il 28,7% dei lavoratori dell’agricoltura, il 65,8% di quelli dell’industria, il 61% degli edili e il 44% degli operatori del commercio. In termini assoluti, la Fondazione stima che circa 100mila dipendenti comaschi abbiano interrotto il lavoro, di cui 50mila nell’industria, 16mila nel commercio e 11mila nell’edilizia.

I settori

A livello regionale, sono 1,6 milioni i lombardi coinvolti dalle sospensioni. Su cento occupati, il 37,5% - evidenzia sempre la Fondazione dell’Ordine dei consulenti – è a casa per decreto, una percentuale che non tiene conto di tutte le attività non rientranti nella lista Ateco, ma che hanno chiuso per scelta propria.

Ben il 42,6% degli occupati lombardi interessati dai decreti del presidente Conte lavora nel manifatturiero, soprattutto nella fabbricazione di prodotti di metallo (11% del totale dei lavoratori che restano a casa) e in quella di macchinari (8,1%).

Le attività commerciali sono ferme in larga parte, lasciando a casa 267mila lombardi (il 16,6% di quanti sono interessati dal decreto), ma anche per i servizi si registra una battuta d’arresto importante: sono 506mila in regione i lavoratori coinvolti che lavorano nei diversi settori, a partire dalle attività di ristorazione (12,1% per 194mila addetti), e a seguire i servizi alla persona, come parrucchieri, centri estetici (4,6%), attività di ricerca e selezione del personale (2,3%) e attività immobiliari (2,3%).

«In questa situazione – commenta Jolanda di Nuzzo, presidente dell’Associazione nazionale Consulenti del lavoro di Como – c’è grande preoccupazione da parte delle aziende perché siamo senza certezze e nessuno è in grado di prevedere cosa succederà nelle prossime settimane. Peraltro la normativa – continua di Nuzzo – non viene neppure più condivisa ricorrendo ai canali istituzionali, perché viene e sempre e comunque anticipata attraverso i social network cui dobbiamo prestare la stessa attenzione che prima destinavamo alla Gazzetta Ufficiale o al Burl». Questo contesto è grave, secondo di Nuzzo, soprattutto perché rischiano di alimentarsi le fake news, generando ulteriori dubbi. «Stiamo lavorando in modo frustrante – prosegue – e gli imprenditori si rivolgono a noi per avere chiarimenti che spesso non possiamo dare».

Le chiusure

Per quanto riguarda le chiusure, di Nuzzo ritiene che basarsi sul codice Ateco sia stato un errore: «Ci sono imprese – spiega – che sono abituate da sempre a lavorare con dispositivi di protezione individuale e che potrebbero operare in assoluta sicurezza e invece devono restare ferme anche se hanno numerosi ordini da evadere: ci sembra assurdo».

Inoltre, sul fronte degli ammortizzatori sociali usati per coprire questo periodo di stop, di Nuzzo evidenzia come «sono state concesse nove settimane di copertura, ossia due mesi: marzo è già passato e, dopo la fine di aprile, cosa accadrà? Le aziende sono preoccupate anche perché, in ogni caso, in molti settori il mercato non si riprenderà subito».

Infine, anche per quanto riguarda i professionisti la situazione non è positiva: «Il portale dell’Inps si è bloccato a causa di un hacker: sarà difficile garantire per il 15 aprile il pagamento del contributo di 600 euro concesso per il mese di marzo».

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