Don Roberto, la sentenza fa discutere: «Valutare gli atti, no al giustizialismo»

Il caso Ha suscitato polemiche lo “sconto” concesso a Ridha Mahmoudi in Corte d’appello - Il presidente della Camera penale: «Troppi tuttologi, 25 anni non sono il minimo della pena»

Como

«Non possiamo avere l’approccio giustizialista del “buttiamo via la chiave”. Devono essere valutati attentamente gli atti».

A parlare in modo schietto, con critiche ai giudizi da “bar sport”, è il presidente della Camera Penale di Como e Lecco, l’avvocato Edoardo Pacia. L’argomento è uno dei più discussi di ieri: la riduzione della pena per Ridha Mahmoudi, tunisino di 55 anni, dall’ergastolo a 25 anni per l’omicidio di don Roberto Malgesini. Ha suscitato scalpore la decisione dei giudici della Corte d’Assise d’Appello di riconoscere le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Una sentenza che ha fatto discutere anche i cittadini che ieri, sui social, si chiedevano quali attenuanti si potessero mai concedere dopo un fatto come quello avvenuto il 15 settembre 2020 a San Rocco.

«Non è possibile esprimersi sulla decisione»

Una reazione di pancia che non può essere la stessa di chi vive con il codice penale sulla scrivania. «Quale è il mio giudizio? Non è possibile esprimersi sulla congruità di questa decisione, tanto meno in assenza della lettura della motivazione – dice Pacia - Per la verità, nessuno dovrebbe esprimere questo tipo di giudizio se non avvocati e pm impegnati nel processo. D’altra parte, se l’Italia una volta era composta da 60 milioni di commissari tecnici, ora è caratterizzata da una popolazione di tuttologi che credono di poter esprimere qualsiasi tipo di valutazione su ogni materia».

Un approccio severo, quello del presidente della Camera penale: «Un giudizio privo di competenze tecniche è aggravato dal fatto che, in termini generali (non intendo riferirmi al caso specifico) porta all’approccio severo e giustizialista del “buttiamo via la chiave”. Naturalmente tutto ciò quando si parla degli altri, perché la mia esperienza insegna che, quando si è interessati direttamente, le lamentele per la severità della giustizia germogliano».

«Non è stato applicato il minimo della pena»

La domanda però rimane: come è possibile che di fronte ad un delitto premeditato di quel tipo si possa scendere al minimo della pena? «Non è stato applicato il minimo della pena. La pena per il reato di omicidio è prevista in una misura compresa tra 21 e 24 anni. È quindi altamente probabile che sia stata applicata la pena base massima (24 anni), giungendo alla pena finale di 25 anni a seguito alla continuazione con la detenzione dell’arma. Il reato di omicidio può portare all’ergastolo in presenza di alcune circostanze aggravanti, tra cui la premeditazione. Ma sempre il Codice prevede la necessità di analizzare la sussistenza di attenuanti ponendole su una bilancia figurata che produrrà un giudizio di equivalenza o di prevalenza. Se viene espresso il giudizio di equivalenza, si torna alla pena base. In appello le circostanze attenuanti generiche sono state valutate equivalenti alle aggravanti. Ciò ha riportato alla pena di 24 anni. È quindi scorretto affermare che sia stato applicato il minimo della pena, così come che ciò sia avvenuto nonostante la premeditazione».

Ma cosa sono le attenuanti generiche? «Ci sono due categorie di attenuanti: quelle specifiche (l’aver agito a seguito di provocazione, l’aver riparato interamente il danno prima del giudizio, eccetera) e quelle cosiddette generiche che vengono valutate considerando una serie di elementi che caratterizzano oggettivamente il reato e soggettivamente l’imputato. Il giudice può valorizzare con una certa libertà questi aspetti». Mahmoudi aveva però precedenti e non aveva collaborato. «I criteri per l’applicabilità sono estesi. È possibile che, pur non emergendo profili per una totale o parziale infermità di mente, la condizione di vita e di personalità dell’imputato sia stata valutata rispetto alla concessione di tali attenuanti».

Abbiamo raccontato tutto ciò che è avvenuto prima di questa sentenza in un podcast di sei puntate. Si intitola “Scriveva fuori dai margini” e parla di una vita che prima di essere spezzata è stata ricca e feconda di speranza, per tutta la città di Como. Lo potete ascoltare qui:

Ascolta "Como, città dei martiri - Scriveva fuori dai margini" su Spreaker.

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