Fatture false per 21 milioni: in undici patteggiano pene fino a cinque anni di carcere

Tribunale L’udienza preliminare a carico degli undici imputati si è chiusa così. L’accusa è di aver utilizzato false società cooperative per fatturare

Pene fino a cinque anni di carcere e centinaia di migliaia di euro confiscati e tornati nelle casse dello Stato. Si è chiusa così l’udienza preliminare a carico di undici imputati, accusati di un clamoroso giro di false fatture attraverso l’utilizzo di società cooperative false.

La vicenda è deflagrata lo scorso giugno con ben 14 misure cautelari, 9 delle quali in carcere, a carico di altrettante persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere, emissione o utilizzo di fatture false o per operazioni inesistenti, piuttosto che per omessa dichiarazione delle imposte. Stando alla contestazione a suo tempo mossa dalla Procura parliamo di «plurimi reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti» per una cifra complessiva stimata dalla Guardia di finanza in complessivi 21 milioni di euro.

L’indagine delle fiamme gialle del nucleo di polizia finanziaria e del Gruppo della Guardia di finanza di Como, ha riguardato complessivamente 17 società cooperative e una srl create nell’arco di 7 anni e attive nel settore delle pulizie, del facchinaggio, dei trasporti e della logistica al servizio della grande distribuzione.

Di tutta questa galassia societaria, però, stando all’accusa soltanto due, una srl e un consorzio, erano vere. Tutte le altre realtà, tutte cooperative, avevano invece il compito di permettere alle prime, accollandosi i dipendenti e emettendo false fatture, di abbattere gli oneri fiscali e quindi non pagare le tasse.

Ieri undici imputati sono comparsi davanti al giudice delle udienze preliminari, Carlo Cecchetti, il quale ha ratificato i patteggiamenti già concordati tra gli avvocati difensori e il pubblico ministero Simona De Salvo, titolare del fascicolo d’indagine.

La pena più alta è quella patteggiata da Micheal Rickardo Anderson, 56 anni, originario dello Sri Lanka ma residente a Grandate: 5 anni di reclusione, per lui. Poco più bassa la pena inflitta a Daniela Zambù, 49 anni di Fenegrò: 4 anni e 8 mesi di reclusione. Pena oltre i benefici della condizionale anche per Luigi Vicini, 73 anni, nato e residente a Como: ha patteggiato 3 anni e 8 mesi. Tutti e tre erano finiti in carcere, lo scorso mese di giugno durante il blitz condotto dai militari della Guardia di finanza. Hanno inoltre patteggiato: due anni e mezzo di reclusione Marzio Seghezzi, 49 anni di Como; 2 anni a Fabio Cerutti, 54 anni, di Guanzate e a Silvio Bonomi, 71 anni, di Lainate; Moustapha Khouma, 54 anni, senegalese di origine ma residente nel Bresciano, è uscito dall’aula con una pena di 1 anno 10 mesi e 20 giorni; un anno e 8 mesi a Fabio Lupo, 47 anni di Olgiate Olona, così come Ferruccio Bogetti, 60 anni di Roma. Infine Ornella Zambù di Veduggio, sorella di Daneila, come Josè Carlos Lafratta, 60 anni, residente a Como ma originario dell’Argentina.

La confisca

All’epoca degli arresti il giudice per le indagini preliminari ha aveva anche disposto il sequestro preventivo di 7 milioni 725mila euro, riferiti ai reati tributari, pari all’ammontare complessivo del profitto ritenuto essere maturato in modo illecito. Il giudice, ieri mattina, ha disposto la confisca di tutti i beni sequestrati a carico degli undici imputati che hanno patteggiato la pena, pari a svariate centinaia di migliaia di euro.

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