Franca ha seguito Giuseppe
Un addio mano nella mano

Il nipote: «Si sono amati tantissimo». L’autrice della foto: «Quanto erano belli questi innamorati che si sono promessi amore eterno tanti anni fa»

Franca ha resistito meno di due giorni, senza avere più la mano di Giuseppe da stringere. Oltre cinquant’anni di matrimonio, una vita trascorsa assieme e in 48 ore se ne sono andati entrambi. Vittime, non i primi e purtroppo neppure gli ultimi, del virus maledetto capace di intaccare i loro polmoni, non certo i loro cuori.

La storia di Franca e Giuseppe, che i medici, gli infermieri gli operatori sanitari del Sant’Anna hanno voluto stessero attaccati l’una all’altro in una sala del pronto soccorso perché potessero tenersi per mano almeno un’ultima volta, ha commosso tutti in ospedale, e non solo.

Il malore e soccorsi

«Si sono amati molto» conferma il nipote, Franco Gerosa. È stato lui, esattamente una settimana fa, a trovare gli zii stesi a terra, nella loro casa di Oltrona San Mamette. Lui si chiamava Giuseppe Mambretti, aveva 85 anni ed è stato dirigente d’azienda in una ditta tessile. Lei Franca Ferloni, aveva 89 anni e lavorava pure lei nel tessile, in un’azienda a Lurate Caccivio. Si erano sposati oltre cinquant’anni fa: «Io ero piccolino - racconta il nipote - Ero molto legato a entrambi. Non avevano figli, così spesso andavo da loro». Dopo la morte della madre, la sorella di Franca, e del padre, a Franco Gerosa come parenti restavano soltanto i due zii: «La scorsa settimana - ricorda - ero a casa, quando ha suonato il comandante dei vigili di Oltrona. “Hai notizie dei tuoi zii?” mi chiede».

A lanciare l’allarme era stato Gianni Clerici, presidente del centro servizi di Medici Insubria. Giuseppe Mambretti doveva essere sottoposto a tac, quella mattina, ma non rispondeva al telefono. «Quando sono arrivato alla casa degli zii ho trovato i carabinieri di Appiano e i vigili. Mi hanno chiesto di entrare a controllare come stessero. Io sono volontario della Croce Rossa di Lurate, così mi sono messo la maschera ffp3 e i guanti. Sono passato dal garage, ho chiamato ma nessuno ha risposto. Una volta raggiunto il primo piano li ho visti tutti e due accasciati a terra. A quel punto sono uscito e ho fatto chiamare i soccorsi».

Franca era caduta, diverse ore prima. Giuseppe aveva tentato di alzarla, ma aveva da giorni la febbre alta e sono mancate le forze pure a lui. Così si è stretto attorno alla moglie per tenerla al caldo.

Diversi minuti dopo è arrivata l’ambulanza e i soccorritori, coperti con le tute antivirus, sono entrati a soccorrere i due coniugi. «Mio zio lo hanno portato fuori che camminava. L’ho salutato: “ciao zio”. Non pensavo che sarebbe stato per l’ultima volta».

In ospedale, al Sant’Anna, il signor Giuseppe è arrivato tremante per la febbre e con le parole trattenute dall’affanno. Gli occhi chiari e opachi hanno osservato tutti i movimenti dei sanitari, fino a quando è riuscito a trovare fiato sufficiente per chiedere: «Dov’è mia moglie?».

Dopo le cure, i tamponi, l’ossigeno, le punture (e nonostante questo lui è pure riuscito a sorridere «con uno di quei sorrisi pieni di consapevolezza e carichi di un’umanità sconvolgente», racconterà uno dei sanitari), moglie e marito sono stati adagiati su due lettighe messe attaccate l’una all’altra in sala emergenza, dietro a un paravento. Alla vista della moglie il signor Mambretti, sfidando i movimenti resi difficili dalla maschera dell’ossigeno, si è messo sul fianco destro, ha allungato la mano sinistra e ha preso quella della moglie oltre le sbarre della lettiga.

La storia di una foto simbolo

Quelle mani, unite, sono diventate un simbolo in pronto soccorso.

«Era il 2 aprile e facevo il turno di notte - racconta Maria Delfine, l’operatrice socio sanitaria che ha scattato un’immagine che nessuno mai si dimenticherà - I due innamorati erano l’uno di fianco all’altra, vicini nelle due lettighe. Sono stati mano nella mano tutta la notte e forse anche tutto il turno precedente. In qualsiasi momento si poteva cogliere l’occasione di scattargli una foto, li trovavo sempre così, mano nella mano. Ad un certo punto, con il mio collega infermiere Michele, passavamo davanti a quella sala e abbiamo visto quelle fedi nuziali vicine, su due mani gentili nonostante l’età, parlavamo di quanto erano belli questi innamorati, di chi si è promesso amore eterno su un altare tanti anni fa. Ci siamo detti la stessa cosa, che quell’immagine, proprio quella doveva essere fermata. Così ho preso il cellulare e ho scattato la foto».

«Sì - conferma il nipote - si sono amati tantissimo. Formavano veramente una coppia favolosa: affabili, intelligenti, corretti, innamorati, mai un litigio. Due persone squisite». Giuseppe Mambretti, anche dopo la pensione, non si è mai fermato: «Era brillante, preparato. E poi non smetteva mai di informarsi e aggiornarsi. Pensi che è stato lui a insegnare a me a usare il computer». Il nipote ora, essendo entrato in casa dei due pensionati, è in quarantena obbligatoria: «Non sono potuto andare al funerale di mio zio e domani (oggi ndr) non potrò andare a quello di mia zia. È doloroso, ma è anche consolante sapere che hanno potuto restare assieme fino alla fine».

Non entrerà in nessun protocollo sul coronavirus, la storia di Franca e Giuseppe. Eppure, forse, sarà ricordata come la storia che ha segnato più di altre i cuori dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari, dei soccorritori del Sant’Anna. La storia di come il virus possa portarsi via i corpi, ma non i cuori.

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