I 50 anni di Sant’Agata
con il vescovo Cantoni
«Luogo di familiarità»

La chiesa “nuova” fu costruita nel 1969 raccogliendo le indicazioni del Concilio Vaticano II - «È stata progettata pensando a noi, qui ci si sente a casa»

Giornata di festa ieri a Sant’Agata per il cinquantesimo anniversario della consacrazione della chiesa.

Una messa solenne presieduta dal Vescovo di Como Oscar Cantoni insieme a quindici sacerdoti ha suggellato le “nozze d’oro”, come ha definito il traguardo raggiunto dall’edificio l’attuale parroco don Daniele Maola.

La chiesa “nuova”, opera conclusa nel 1969 e nata per raccogliere la popolazione di un quartiere in crescita, è stata opera di lungimiranza architettonica, che porta le firme dello scultore Eli Riva, dell’architetto Lucio Saibene e del parroco di allora don Giovanni Valassina. «Oggi celebriamo un momento importante - ha detto don Daniele Maola nel dare inizio alla celebrazione - per i parrocchiani e per chi ha vissuto nel quartiere. Anche il nostro vescovo ha un legame particolare con questa edificio perchè qui è stato nominato diacono». Una chiesa che stupì per la struttura innovativa nel momento in cui vide la luce e che non sembra subire i segni del tempo. «È moderna ancora oggi - ha aggiunto il parroco di Sant’Agata - perchè seppe accogliere i suggerimenti dettati dal Concilio Vaticano II e questo deve essere da stimolo per metterci di nuovo in cammino».

La grande aula dove si raccoglie l’assemblea per le celebrazioni è una delle novità della chiesa di Sant’Agata che sostituì le tradizionali navate: così l’assemblea fu investita di un ruolo attivo e conferì all’edificio un’ immagine innovativa rispetto alla tradizione. «In questa chiesa sono stati ospitati tanti avvenimenti da quelli quotidiani ad altri più significativi - ha esordito il vescovo Cantoni - Per questo il luogo si è riempito di familiarità a tal punto che si può dire di sentirsi a casa. In cinquanta anni di vita è facile fare un bilancio, tracciare il percorso di una comunità. Questa chiesa, unico esperimento così innovativo, nella nostra Diocesi, ha assistito alla trasformazione sociale e civile della nostra città. Per questo il suo valore non è quello di un monumento che appartiene al passato, ma è un edificio che vive sulla relazione del popolo di Dio. Chi l’ha progettata ha pensato a noi».

Al termine dell’omelia, nell’augurare un futuro di accoglienza per una chiesa che è stata immaginata accogliente, il vescovo ha ricordato le parole del sacerdote giornalista don Peppino Brusadelli che annunciò la nascita della nuova chiesa, con cui invitava a non avere paura del moderno, con una chiave di comportamento: fedeltà al passato, ma apertura verso il nuovo.

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