Il cranio misterioso è di Plinio il Vecchio
«Ci sono le prove dopo due anni di studi»

Completate le analisi sul teschio ritrovato a inizio Novecento e conservato a Roma - L’esperto: «Probabilità molto alte che sia lui. Dagli studi nessun dato che possa smentirlo»

Il cranio misterioso conservato a Roma all’Accademia di Arte Sanitaria ed esposto al Broletto nel novembre scorso è di Plinio il Vecchio. O meglio, gli esiti di due anni di ricerche approfondite sono arrivati a stabilire che non c’è alcun elemento tale da sconfessare questa ipotesi. A coordinare gli studi il giornalista e storico dell’arte Andrea Cionci, in collaborazione con esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle università La Sapienza di Roma, di Firenze e di Macerata. «Le probabilità che si tratti del cranio di Plinio il Vecchio sono molto molto alte, anche se in archeologia non ci sono mai certezze assolute», ha dichiarato ieri l’esperto. «Abbiamo la certezza - ha aggiunto - che dagli studi condotti finora non è emerso nulla che possa contraddire l’attribuzione a Plinio».

Plinio il Vecchio, nato a Como nel 23 d.C e morto mentre coordinava le operazioni di soccorso dopo l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., comandava la flotta militare e fu un infaticabile studioso scrivendo, tra l’altro, la “Naturalis Historia” in ben 37 libri. La necessità di eseguire una serie di verifiche (finanziate grazie a contributi e donazioni private) sul cranio misterioso era stata suggerita allo storico dell’arte dagli elementi riportati nel libro di Flavio Russo «79 d.C., Rotta su Pompei», edito dallo Stato Maggiore della Difesa.

Le prime analisi, condotte da Mauro Brilli, dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr, avevano indicato che il cranio appartiene a un individuo vissuto in alcune zone dell’Appennino centrale e della Pianura Padana, compresa la città natale di Plinio il Vecchio, Como. Questo grazie a un particolare studio basato sul fatto che, come spiegano gli esperti, gli isotopi radioattivi contenuti nell’acqua da bere si depositano nei denti. I riscontri, come detto, hanno portato alla compatibilità del luogo in cui l’uomo a cui apparteneva lo scheletro con il Lario.

Una seconda fase aveva invece portato a dubbi sul fatto che quel teschio potesse essere dell’illustre comasco. In particolare i risultati ottenuti da Roberto Cameriere, dell’Università di Macerata, indicavano che il cranio apparteneva a un individuo di 37 anni: quasi venti in meno rispetto a Plinio il Vecchio. A risolvere il mistero l’ultimo tassello che consiste nei risultati genetici ottenuti dagli esperti David Caramelli, dell’Università di Firenze, e da Teresa Rinaldi, dell’Università La Sapienza.

Il cranio ritrovato e conservato per anni raccontava, in realtà, la storia di due individui distinti. La mandibola, quella che aveva portato a datare il ritrovamento a 37 anni, secondo i test, apparteneva a un’altra persona, mentre il cranio a un uomo all’incirca dell’età di Plinio il Vecchio. A sostenere la tesi che il cranio si affettivamente del personaggio notissimo nell’antica Roma sono i materiali ritrovati ai primi del Novecento dall’ingegnere napoletano Gennaro Matrone sulla foce del fiume Sarno: Lo scheletro indossava numerosi gioielli d’oro, identificati come simbolici di onorificenze e di alte cariche militari, un anello tipico del ceto equestre dal quale proveniva Plinio e una collana in oro raffigurante vipere. Tutti elementi a sostegno della tesi che si tratti dei resti dell’ammiraglio e studioso comasco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA