«In mare tra i migranti
Racconto i loro drammi»

DIOGENE / Il giornalista comasco di Avvenire per un mese ha vissuto a bordo di “Mediterranea” sulle rotte dell’immigrazione

«Ho un tuffo al cuore nel rivedere la foto di “Mediterranea”. È stata un’esperienza emotiva molto forte: difficile separarsi e viverla con distacco». Nella sua lunga esperienza professionale, il giornalista Nello Scavo è stato corrispondente di guerra e le sue inchieste sono state riprese e rilanciate da testate estere del calibro del New York Times e della Bbc. A novembre, è sceso dalla nave dove per un mese, insieme con altri colleghi, è rimasto a monitorare e controllare le acque internazionali e le rotte dei migranti, in particolare al largo della Libia e il Nord Africa. L’obiettivo: sbloccare il black out informativo sulle rotte e, soprattutto, proteggere le persone, non i confini. Il rimorchiatore Mare Jonio, varato nel 1972, lungo 35 metri e largo 9, dopo essere stato rimesso a nuovo per compiere la missione è riuscito a salpare, nonostante i controlli e le ispezioni che fino all’ultimo hanno rimandato e perfino messo in dubbio la partenza.

«Ti sparo in testa o alla gamba?»

Scavo è salpato da Pantelleria in una data particolare, dal forte valore simbolico: il 3 ottobre, infatti, è la giornata della Memoria e dell’accoglienza, fissata in ricordo delle vittime del naufragio del 2013 al largo di Lampedusa e di chiunque continui a morire nel mar Mediterraneo e ai confini dell’Europa, in cerca di salvezza e protezione.

«Dividevo la cuccetta con un collega di “Repubblica” - racconta il cronista di Avvenire - La prima notte di navigazione mi sono addormentato subito. Purtroppo, dopo due ore mi sono svegliato e, vedendo le luci, pensavo avessimo già attraversato il Mediterraneo. Invece, stavamo tornando indietro perché si era rotto il timone». L’aneddoto rende l’idea di un viaggio tutt’altro che agevole: «È stato parecchio complicato - aggiunge -, soprattutto per via del meteo: mai come questa volta ho percepito il pericolo di chi attraversa il mare con imbarcazioni di fortuna o, addirittura, barconi. Affrontavamo onde alte metri che, in alcuni frangenti, s’incrociavano. E noi siamo in quindici, attrezzati, con i giubbotti di salvataggio».

A differenza di quel che riporta la vulgata comune, non tutti scelgono di partire: «Mi è capitato di incontrare un ragazzo arrivato dalla Libia - spiega Scavo - viste le onde alte, aveva deciso di non salire a bordo del gommone. Il trafficante allora, con serenità, gli ha detto: “dimmi dove vuoi che ti spari, alla testa o alla gamba?”. Ha dovuto scegliere. A Lampedusa l’hanno curato: ora zoppica, ma ha rischiato l’amputazione dell’arto».

All’esperienza di Mediterranea partecipano esperti del soccorso, mediatori culturali e avvocati. Inoltre, sponsorizzano e prestano la loro azione volontaria giovani provenienti dai movimenti, dalle associazioni e dalle parrocchie. Per la prima volta a bordo, uno staff di legali ha predisposto gli strumenti per tutelare i diritti dei naufraghi e assicurare che le decisioni e gli interventi siano conformi al diritto internazionale e quello italiano.

Con i piedi per terra

La sua esperienza a bordo è durata un mese. «Non mi ero mai reso conto di quanto fosse grande il Mediterraneo - aggiunge Scavo -, non si distingueva la linea dell’orizzonte. Parlavamo senza guardarci negli occhi perché ognuno di noi doveva scrutare il mare: bisogna considerare che è difficile riuscire a scorgere un’imbarcazione in difficoltà o una persona in mare. A questo proposito, abbiamo una possibilità ogni sei minuti di vedere “una testa” all’orizzonte. Per questo è necessario restare concentrati».

Il viaggio di Mediterranea, in un clima politico avvelenato, è stato salutato con favore da molte persone che credono in un approccio al tema dell’immigrazione diverso da quello governativo. «Non basta il buon cuore quando ci si occupa dei migranti - avverte Scavo -, sono utilizzati dalla politica come arma di distrazione di massa. Io non sono “buonista” o “immigrazionista”, ho semplicemente i piedi per terra. Un arretramento degli sbarchi istituzionali, significa un aumento di quelli “fantasma”».

L’obiettivo principale è essere dove bisogna essere, testimoniare e denunciare ciò che accade e, se necessario, soccorrere chiunque rischi di morire nel Mediterraneo centrale, come impongono le norme vigenti. Mettere in mare una nave battente bandiera italiana, attrezzata perché possa svolgere un’azione di monitoraggio e di eventuale soccorso, parte da una convinzione: oggi più che mai, salvare una vita in pericolo significa salvare noi stessi.

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