In medio oriente per la pace
Giulia, vita in prima linea

DIOGENE / Comasca da tre anni vive tra Giordania e Iraq nelle zone di conflitto per aiutare la popolazione civile a rialzarsi

Giulia Canali ha ventinove anni e vive lontano da Como - sua città di origine - da quando ne aveva diciannove: negli ultimi dieci anni ha studiato e lavorato a Londra e, dal 2016, vive in Medio Oriente, prima in Giordania e poi in Iraq, dove risiede tuttora, per promuovere la cultura della pace.

Giulia oggi ricopre il ruolo di Economic Recovery Coordinator per l’Ong Danish Refugee Council (DRC): si tratta della più grande Organizzazione Non Governativa danese e si occupa di prestare assistenza, nelle zone di conflitto, a persone soggette a “displacement”; lavorando in più di trenta diversi Stati nel settore umanitario, sviluppo e “peacebuilding”, DRC si pone l’obiettivo di assicurare una vita dignitosa a rifugiati, sfollati e ad altri individui e comunità. Giulia è responsabile per il programma di recupero economico dell’organizzazione per tutto l’Iraq.

Il progetto

«Il nostro programma di “Economic Recovery” si occupa di assistenza finanziaria a famiglie che hanno perso lavoro, risorse e averi a seguito del conflitto o della crisi - spiega - e il sostegno spazia dai contributi “cash” per i bisogni primari, alla formazione, al supporto per riaprire l’attività economica praticata prima della crisi o per trovare lavoro. Prestando questo tipo di assistenza speriamo non solo di aiutare individui e famiglie a provvedere ai loro bisogni in modo indipendente e sostenibile, ma anche di promuovere la riattivazione del mercati locali. L’assistenza che il mio programma dà è solo una parte del supporto che DRC offre: l’organizzazione si occupa anche di “protection” (simile al nostro sistema di Servizi Sociali ndr), di ristrutturazione di infrastrutture pubbliche e di case private danneggiate del conflitto e di assistenza nei campi di sfollati che ancora oggi rimangono aperti, nonostante siano trascorsi due anni dalla fine del conflitto; questo accade perché le persone non possono tornare a casa per via della mancanza di servizi, della distruzione delle infrastrutture, della mancanza di opportunità di lavoro».

In Iraq dal due anni, Giulia Canali ha avuto modo di spostarsi e vivere in luoghi diversi: per i primi mesi ha vissuto a Erbil, capitale del kurdistan iracheno - in particolare durante il conflitto, quando l’accesso all’Iraq federale era strettamente limitato dalle forze armate - poi si è trasferita a Tel Afar, una regione nel nord, vicino al confine con la Siria.

Ora è tornata a Erbil dove però copre un ruolo nazionale, motivo per cui si sposta continuamente per supportare i diversi team nelle basi situate in tutto l’Iraq.

L’abitudine a viaggiare arriva, per Giulia, da molto prima dell’esperienza come cooperante in Medio Oriente: «Ho sempre approfittato delle vacanze estive dagli studi universitari per fare esperienze all’estero e queste mi hanno portato in Tanzania, Vietnam, e altri paesi dell’Asia e Sud America».

Anche grazie a queste Giulia è diventata quello che è oggi, sebbene da più giovane pensasse ad un futuro diverso: «Quando ero più piccola volevo fare la giornalista, non avevo idea che fare l’operatrice umanitaria potesse essere un lavoro. Come me prima di partire per la Giordania, la maggior parte delle persone in Italia vede la figura del cooperante umanitario solamente come un volontario. Studiando Development Studies e poi Social Policy mi sono avvicinata a questo mondo, così da capirne di più la funzione. La mia prima vera esperienza è poi stata con UNRWA (the United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees); da allora non ho più smesso e non credo che smetterò, nel vicino futuro».

Nel deserto

L’amore per il suo lavoro e la grande voglia di continuare a migliorare in quello che fa e ad approfondire a fondo le ragioni per cui si trova lì sostengono Giulia negli immancabili momenti di difficoltà, a livello personale e di organizzazione: «È difficile stare lontano da casa, vivendo spesso in condizioni meno confortevoli e senza molti sfoghi e divertimenti; a Tel Afar - un paesino sperduto nel deserto - vivevamo con solo due persone in un compound da cui non potevamo quasi mai uscire. Questo, però, unitamente alla grande passione per la mia professione, mi ha portato a lavorare non-stop per mesi interi. Capire il contesto in cui lavoro è anche una grandissima fonte di ispirazione giornaliera e così lo è lavorare con un team di professionisti da cui imparo tantissimo ogni giorno. La maggiore difficoltà professionale - continua - è cercare di assicurare il massimo livello di qualità, rilevanza ed efficienza nelle attività che portiamo avanti, in un contesto che cambia e si evolve di continuo».

Umiltà e impegno

Tanto attaccamento e dedizione sono anche ripagati: «La ricchezza più grande per me deriva dal fare un lavoro in cui credo, mantenendo il massimo dell’umiltà».

Nessuna illusione, però: «Non credo nelle persone convinte di “fare la differenza”, perché quasi nessuno può farla, specialmente in contesti così complicati come quello in cui lavoro; però la speranza che qualcuno là fuori possa trarre vantaggio da quanto io e i miei colleghi facciamo mi motiva. Io imparo e cresco ogni giorno e miglioro - o almeno così mi piace pensare – grazie alle esperienze e alla conoscenza che acquisisco».

Il contratto di Giulia Canali terminerà nel febbraio dell’anno prossimo, ma niente è ancora deciso: «In linea generale, vorrei continuare su questa linea lavorativa - con Danish Refugee Council e in Medio Oriente - ma vediamo cosa succederà». 


Dalila Lattanzi

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