La Divina Commedia a Le Primavere
«Dante parlava di noi già 700 anni fa»

Franco Nembrini al teatro Sociale ipnotizza il pubblico con la sua storia «Ho desiderato diventare professore quando ho capito la modernità di questa opera»

Aspre e brulle le Grigne in bianco e nero accolgono Dante tra le aspre rocce ne “L’inferno”, kolossal del 1911, presentato ieri sera da Pietro Berra, e consona accoglienza per l’incontro “Fatti non foste a viver come bruti”, ammonimento rivolto al numerosissimo pubblico delle Primavere che la scorsa uggiosa notte ha affollato il Teatro Sociale di Como per ascoltare Dante - ebbene sì, stupiamoci - attraverso la voce di Franco Nembrini, insegnante, educatore, scrittore ma soprattutto instancabile divulgatore, accompagnato nella sua lezione da Diego Minonzio, direttore de La Provincia. Ancora un assaggio di arte con la presentazione della collezione di UBI Banca prima di entrare nel vivo della serata, perché Nembrini non perde tempo e tra le mani tiene il “suo” Inferno, edizione che ha curato per Mondadori con la prefazione di Alessandro D’Avenia e le illustrazioni di Gabriele Dell’Otto. «Quando la Mondadori mi ha cercato voleva che facessimo una Divina Commedia da comodino - scherza Nembrini - con un commento così semplice e alla portata di tutti che avrebbe consentito la lettura di qualche pagina prima di addormentarsi». Invece Dante ha tenuto ben sveglio tutto il teatro, intrecciato e pervaso dalla storia personale del suo commentatore perché tra le pagine di questa nuova edizione c’è la vicenda del rapporto tra Dante e Nembrini.

«Non ho fatto altro che insegnare la Divina Commedia - spiega - impresa eroica parlare del Dolce Stil Novo ad aspiranti geometri bergamaschi». Il dialogo è sempre a tre voci: il Poeta, il professore e gli studenti che si sono susseguiti nelle sue classi per una vita.

«Ho desiderato tanto diventare insegnante quando ero ragazzo per la scoperta che avevo fatto a 11 anni, in prima media, quando ero costretto dalle circostanze familiari, quarto di dieci fratelli, a lavorare in estate come garzone in un negozio di alimentari lontano da casa. Partivo il lunedì presto con la corriera e tornavo dopo una settimana. Mi sentivo in qualche modo in esilio».

Frequentava all’epoca le medie e un’insegnante di lettere giovane ed entusiasta gli aveva trasmesso la passione per la letteratura, incluso lo studio della Divina Commedia, all’epoca si usava ancora mandare i Canti a memoria. «Mentre una sera scaricavo un camion arrivato tardi, portavo le casse su per una scala e piangevo per la mia triste sorte di esule, ancora non trovavo le parole per scrivere a casa come mi sentissi, con una cassa di bottiglie in mano mi sovvenne sulla scala il ricordo di una terzina di Dante, in Paradiso, quando il trisavolo Cacciaguida predisse l’esilio a Dante: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ’ l salir per l’altrui scale”. Mi ha folgorato e non mi ha più lasciato questa idea: come è possibile che Dante sappia di me, di come sto, lui che ha vissuto 700 anni fa».

La scoperta è che la Divina Commedia parla con noi e di noi. Il genio, l’artista è quello che esprime valori, idee, esperienze così vere che lo sono sempre e per tutti. Dante come occasione di portarsi all’altezza dei propri desideri più grandi.

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