L’uomo e lo spazio: discarica planetaria o nuova frontiera?

Al collegio Gallio Venerdì l’incontro con Emilio Cozzi. In 60 anni il numero di oggetti in volo è esploso: «Servono regole per disciplinare le attività in orbita». Qui il programma dell’evento

Numero di oggetti lanciati nello spazio nel 1960: 44. Numero di oggetti in volo nel 2020: 10.308.

Se un tempo controllare la terra significava avere il controllo del mare, oggi per dominare il pianeta occorre controllare lo spazio.

A spiegarlo è Emilio Cozzi, che sogna di indossare una tuta e partire per Marte fin da quando da piccolo guardava incantato “ET” e “Guerre Stellari”.

Passione per gli orizzonti

Giornalista (Wired Italia, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, Forbes Italia), autore e conduttore (Forbes Space Economy), Cozzi non è diventato astronauta, ma non ha mai smesso di coltivare la passione per gli orizzonti del genere umano.

Proprio la passione che cercherà di trasmettere venerdì 19 maggio alle 15 a Como, al Pontificio Collegio Gallio, invitato da Le Primavere e Il Cortile dei Gentili.

L’intervento, tenuto da Cozzi in collaborazione con il festival di divulgazione scientifica BergamoScienza, si intitola “Spazio, nuova frontiera o discarica planetaria?” e aiuterà il pubblico a capire come preservare la sostenibilità dello spazio sia importante quanto preservare quella terrestre.

«Oggi le nostre attività quotidiane sono sempre più basate su asset orbitanti: le telecomunicazioni, le previsioni del meteo, l’osservazione della terra, delle coste – racconta il giornalista – Ci sono gli Starlink di SpaceX, satelliti per la connettività Internet a banda larga e a bassa latenza destinati a cambiare il modo in cui utilizzeremo il web. Non ultimo, lo spazio è spesso intrinsecamente duale, cioè soddisfa sia funzioni e scopi civili, che funzioni e scopi militari».

Ripulire le orbite

Una scena spaziale così affollata richiede che i governi predispongano leggi e regole volte a «disciplinare attività che oggi ci sembrano fantascientifiche, ma che fra dieci anni lo saranno sempre meno.

Lo sfruttamento minerario, l’appropriazione di terreni e orizzonti, mansioni da cui dipenderà fortemente l’economia terrestre» precisa Cozzi.

La Luna, Marte, l’universo sono una grande promessa non priva di rischi. Come quello di diventare una discarica planetaria.

Ciò che chiamiamo “space junk”, “rifiuto spaziale”, interessa già diffusamente le orbite attorno alla Terra.

«Oggi prima di lanciare un oggetto, le grandi stazioni spaziali prevedono che fine debba fare. Quell’oggetto è fatto in modo che un altro satellite o mezzo spaziale possa prenderlo, ridargli carburante, e possa poi andare in un’orbita “cimitero”, non pericolosa. Vero è che non tutti i paesi assecondano questo tipo di caratteristiche».

Nel 2025 verrà lanciata la prima missione di “in orbit servicing”, ovvero di rimozione attiva di un detrito spaziale, finanziata dall’Esa e dalla startup svizzera ClearSpace.

«Non sarà facile acchiappare un oggetto che viaggia a 30mila km orari, totalmente incontrollato. La consapevolezza “ambientale” c’è, occorre che cresca e venga concretizzata in operazioni che siano in grado di non sporcare troppo le orbite terrestri».

La sindrome di Kessler

Negli anni Settanta, il consulente Nasa Donald Kessler ipotizzò che a un certo punto le orbite sarebbero state talmente intasate da impedire qualsiasi altro lancio.

«C’è la necessità assoluta che non arriviamo a quel momento. Ne va della nostra sopravvivenza» conclude Cozzi.

«La navigazione aerea, marittima, gli scambi bancari, dipendono fortemente dallo spazio. Se improvvisamente i nostri satelliti venissero meno perché distrutti da oggetti che volano senza controllo, o perché attaccati, si fermerebbe buona parte della nostra attività terrestre, per cui è fondamentale che rendiamo le attività spaziali sostenibili».

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