«Mi hanno detto: sei sieropositiva
Dopo le lacrime ho deciso di lottare»

Giornata mondiale per la Lotta all’Aids / La storia di Elena, trentacinque anni comasca, due anni fa ha scoperto di essere affetta dal virus dell’Hiv

Como

(La storia è stata pubblicata su Diogene, settimanale della Città solidale in edicola tutti i martedì con La Provincia)

Il primo giorno in cui ha scoperto di avere l’Hiv ha pianto e si è chiesta cosa ne sarebbe stato di lei. Poi, però, ha trovato la forza di reagire, di seguire le terapie e oggi progetta il futuro con il suo compagno.

Elena, comasca di 35 anni, nel 2016 ha avuto la diagnosi che le ha cambiato la vita. «Era il 30 novembre quando ho scoperto di avere l’Hiv - racconta - Ero ricoverata in ospedale da dieci giorni per vari problemi di salute, quando mi hanno chiesto l’autorizzazione per poter fare il test. Io dico “si” e la diagnosi è arrivata: positiva al virus Hiv».

Al momento della comunicazione dell’esito dell’esame da parte dei medici, Elena oltre alle difficoltà della consapevolezza, ha sentito la paura e lo sconforto prendere il sopravvento. Poche ore dopo però, è stata la forza a darle la lucidità per affrontare il percorso che da lì avrebbe cominciato.

«Prima ho pianto e mi sono chiesta cosa avrei fatto – ricorda ancora tornando con la mente a quel 30 novembre di due anni fa - Il giorno dopo però mi sono detta, ok, ho l’Hiv ed è una malattia, ma io posso farcela».

Il primo passo è stato quello di dirlo, senza vergogna o timore di essere giudicata, ai suoi genitori e alle sue sorelle. Il destino poi ha voluto che Elena conoscesse già una persona che da tempo stava affrontando la sua stessa esperienza e nella quale ha trovato un punto di riferimento.

«Una delle mie sorelle è una carissima amica di Giusi (Giupponi ndr), presidente della Lila di Como – spiega la trentacinquenne comasca - Lei ha l’Hiv da 19 anni e così, appena ha saputo, è venuta a trovarmi in ospedale, prima ancora come amica e poi come volontaria dell’associazione» che da anni assiste e aiuta i sieropositivi e i malati di Aids.

Parlare liberamente con qualcuno che capisce le tue paure, le preoccupazioni, i dubbi, è stato importante per Elena.

«Grazie a Giusi e all’associazione ho avuto informazioni e consigli. Mi è stato spiegato se e come sarebbe cambiata la mia vita. È stata importante la serenità con cui mi ha parlato di ciò che stava vivendo da tanti anni e una volta che sono stata dimessa dall’ospedale mi ha proposto un supporto di tipo emotivo».

La sieropositività fa ancora molta paura alla società, nonostante siano passati trent’anni dalla scoperta della malattia, ancora oggi i pregiudizi sono ancora molti. Elena però non ha avuto paura di condividere la sua diagnosi anche con altre persone. E, ora, di farlo pubblicamente con questa intervista.

«Durante gli incontri ho capito che ero io che dovevo decidere come, quando e a chi dirlo. Non mi sono mai preoccupata di nascondere il fatto di avere l’Hiv, infatti, l’ho detto a miei amici, sul luogo di lavoro. Qualcuno si è allontanato, non posso dire che questo non mi abbia ferito, ma l’avevo messo in conto» ammette.

Frequentare un gruppo di auto aiuto, dove ci si incontra per momenti di confronto, di condivisione, di supporto, è stato importante per Elena, soprattutto per comprendere meglio come avrebbe potuto affrontare la sfera sentimentale.

A volte si pensa che una persona sieropositiva non possa più avere una vita amorosa, che non ci siano persone disposte a condividere con loro un cammino di vita, invece non è così.

«È importante avere informazioni corrette sulla propria sfera affettiva e sessuale - racconta ancora questa giovane donna di 35 anni - Essere informata e consapevole è stato importante per affrontare la mia vita sentimentale con serenità. Da un anno ho un compagno con cui convivo. A lui ho raccontato subito dell’Hiv».

Ora per Elena e il suo compagno ci sono altri progetti, come l’acquisto di una casa. «Posso pensare e programmare il mio futuro. Questo è quello che voglio dire a chi lo scopre oggi. Noi possiamo avere una vita, un futuro, e non siamo un pericolo per gli altri. Certo dobbiamo assumere dei farmaci ogni giorno per tutta la vita, ma questo se fatto correttamente ci permette di rendere il nostro virus non più infettivo».  

Francesca Guido

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