Nell’universo inospitale per una vita migliore

Fantascienza Il monito di Cozzi: «Lo spazio è economia». Prest: «Conosciamo il 4%, c’è tantissimo da scoprire»

“Spazio, ultima frontiera”, era lo storico incipit dei telefilm di “Star trek”, ma, in futuro non si rischia, piuttosto, di trasformarlo nella prossima discarica?

È il tema che si è dibattuto ieri pomeriggio nell’ambito delle “Primavere” con Emilio Cozzi, giornalista esperto di spazio di videogames, «da non sottovalutare, perché la fantascienza, anche quella che vediamo nei giochi, come nei film e nella letteratura, prima o poi qualcuno lo realizza. Un buon esempio arriva dalla storia di Dan O’Bannon e Ronald Shussett, che volevano realizzare un film con un alieno che fosse diverso dal solito. Il risultato è “Alien”, un classico del cinema dove l’extraterrestre non è un omino verde simpatico, ma è un essere infestante. Non solo: la nave non è quella di astronauti esploratori, ma minatori».

La Sindrome di Kessler

La realtà, per certi versi, rincorre la fantascienza, ma la corsa è anche estremamente reale. Basta vedere la “space race” tra Usa e Urss, «perché spedire qualcosa nello spazio significa anche poter inviare una testata nucleare ben oltre la distanza terrestre». Una corsa dove l’Italia arrivò terza, lanciando un satellite già all’inizio degli anni Sessanta.

Ma perché andiamo nello spazio, luogo inospitale, che offre molteplici difficoltà per la sopravvivenza? Perché le tecnologie che sviluppiamo per il cosmo, ci servono per migliorare la nostra vita sulla terra in molteplici campi. Il primo che viene in mente in questo momento drammatico riguarda il clima. «Lo spazio è anche economia», come ben sanno personaggi come Jeff Bezos e soprattutto Elon Musk. Ma il contrappasso è che lo spazio che circonda il pianeta dando vita alla Sindrome di Kessler che ci sta portando a infestare con 130 milioni di oggetti l’orbita terrestre, oggetti che possono diventare rifiuti. Ci vorrebbe una legge per regolare il traffico spaziale, «e c’è, ma risale al 1967. Aggiustamenti sono stati fatti recentemente, ma Trump, da presidente, ha promesso pezzetti di spazio a chi aiuta la Nasa, aumentando a dismisura l’interesse per gli investimenti». E parlando di businesses, anche la pulizia dello spazio diventa un affare. Tutte cose che la fantascienza aveva previsto. Ma non esistono solo aspetti negativi. Lo ha dimostrato la professoressa Michela Prest, fisico sperimentale delle particelle elementari del Cern, che costruisce rivelatori di particelle che tolgono il velo alla natura per farci capire come funziona. Un rivelatore di particelle consente di individuare un fenomeno e permette di formulare teorie sul suo funzionamento.

L’universo? Sconosciuto (quasi)

«In questo modo abbiamo avuto immagini dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo». Parlando di spreco, cita la più nota formula di Einstein, che ci dice che la materia e l’energia sono la stessa cosa, che, quindi, in natura non esiste lo scarto: «Siamo tutti fatti di quei protoni nati un millisecondo dopo il Big bang». Un processo che il Cern studia attraverso l’acceleratore di particelle. Anche qui una domanda che è scientifica ed esistenziale: perché siamo qui? «Conosciamo il 4% di questo universo. C’è tantissimo da scoprire». «I fisici del Cern studiano anche le applicazioni pratiche delle nostre tecnologie. In medicina, ad esempio, dalle diagnosi con raggi X, tac, alla risonanza magnetica, che è condotta usando un magnete superconduttore come quelli dell’acceleratore, fino alla radioterapia». La medicina nucleare è figlia della fisica delle particelle.

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