Quattrocento decessi all’anno
Soprattutto giovani e stranieri

Secondo l’Oms l’annegamento è la terza causa di morte per incidente nel mondo - Secondo un rapporto dell’Istituto superiore di sanità il pericolo maggiore sono le acque interne

Como

Fiumi, laghi, bacini artificiali. Da diversi anni l’Istituto superiore di sanità rilancia lo stesso allarme, più o meno inascoltato: i rischi maggiori di annegamento si corrono nelle acque interne, oltre che nei tratti di mare non sorvegliati. Secondo l’ultimo rapporto disponibile (anno 2019, ma - fanno sapere da Roma - a breve ne sarà pubblicato uno nuovo) i morti per annegamento in Italia sono circa 400 all’anno mentre nel mondo - secondo l’Oms - sono addirittura 360mila: si tratta della terza causa di morte per incidente e della terza causa di morte in assoluto sotto i 15 anni, dopo meningite e Hiv (dati del 2020).

Una strage silenziosa

Una strage silenziosa le cui vittime - e basti guardare agli ultimi sette casi registrati proprio nelle acque del primo bacino, di fronte alla città, tra giardini e viale Geno - le cui vittime sono soprattutto di sesso maschile, spesso giovani o giovanissimi (nel nostro Paese la fascia di età con il numero di decessi più alto è quella fra i 15 e i 19 anni) e altrettanto spesso - anche se non sempre - provenienti da famiglie di origine extracomunitaria. È, questo, un tratto comune a un impressionante numero di casi: l’ultimo rapporto disponibile dice anche che in genere sono ragazzi accomunati da uno stato socioeconomico inferiore alla media, con un livello di scolarizzazione più basso, vale a dire senza istruzione secondaria. A prescindere dal grado di scolarizzazione, su molte di queste tragedie influiscono poi anche il consumo di sostanze alcoliche e alcune condizioni mediche che espongono maggiormente al rischio di esiti infausti, quali per esempio l’epiliessia. E poi il nuoto: dice ancora l’istituto superiore di Sanità che soltanto quattro italiani su dieci possono dire di sapervisi cimentare bene, e soltanto il 50% di loro è in grado di mantenersi a galla in acque profonde. Si calcola che nella fascia di età compresa tra i 5 e i 18 anni, soltanto il 30% dei giovani e dei giovanissimi sappia nuotare in modo appropriato mentre soltanto un ulteriore 30% è al massimo in grado di stare a galla, con scarse, scarsissime possibilità di fronteggiare la minima difficoltà. Infine un ulteriore 10% sa nuotare soltanto in piscina.

I pericoli dell’acqua dolce

Laghi e corsi d’acqua dolce si sono dimostrati storicamente letali. Nell’ultimo quinquennio l’elenco degli incidenti si è ulteriormente allungato: dal Naviglio della Martesana, alle ex cave di Ciserano, nella Bergamasca, fino al Ticino, fiume tra i più frequentati del Nord Italia per i suoi lidi facilmente accessibili soprattutto nei mesi estivi; e poi i laghi, da quello di Iseo - i cui fondali precipitano spesso improvvisamente passando in un attimo da uno a 20 metri profondità - al Garda, al lago Maggiore, fino al lago di Como dove non si muore soltanto tra Villa Olmo e Villa Geno e dove anzi negli ultimi anni si sono registrati diverse, analoghe tragedie anche lassù tra Domaso e Gravedona, in corrispondenza dei lidi più frequentati dal turismo straniero.

Sempre nell’ultimo rapporto del 2019, l’Iss spiega che la segnaletica collocata nei punti più pericolosi, o laddove la balneazione sia addirittura vietata, in genere si rivela insufficiente a modificare i comportamenti a rischio. Il problema è proprio la mancanza di sorveglianza, come del resto al mare, dove non a caso si muore nei tratti “scoperti”, lungo i quali non è prevista la presenza di un bagnino.

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