Quota cento, inizia la fuga dalla scuola

Il casoIl 20% degli insegnanti potrebbe usufruirne. Secondo i patronati andranno in pensione 700 persone «Ma subiranno un taglio dell’assegno che può variare dal 17 al 30%». Problema per coprire gli organici

Il 20% degli insegnanti e delle altre figure nel mondo della scuola potrebbe usufruire di quota cento. Insomma, se tutti se ne andassero, sarebbe una mazzata. Non sarà così imponente la fuga, secondo i sindacati, ma la metà degli aventi diritto, soprattutto donne, potrebbe sceglierla. Questo significa perdere oltre 700 persone nel settore scolastico.

Se il termometro fosse la richiesta di estratti conto e informazioni su questa finestra di pensione anticipata, dal primo settembre si spalancherebbe un vuoto.

In questi giorni i sindacati sono presi d’assalto. Un universo molto ampio, tra chi è di ruolo e chi invece ha una precarietà, anche di lunga data. Eppure tutti chiedono come fare e soprattutto se conviene. Ai patronati stanno cercando di gestire quest’onda di interessati e di far valutare con attenzione il reale effetto della misura varata del Governo sulle loro vite, sottolinea Gerardo Salvo (Uil Scuola). Ricordiamo che se per i privati l’opportunità si apre ad aprile, per i lavoratori della scuola dal primo settembre. Che istituti si troveranno dunque le famiglie con il prossimo anno scolastico? Una domanda che riceverà effettiva risposta solo alla fine di febbraio.

Intanto qualche cifra. Oggi sono quasi 8mila queste figure – 7.692 secondo l’ultimo aggiornamento – sul territorio, di cui 2mila non docenti. Per quanto riguarda gli insegnanti, l’organico della primaria è di 2.449 unità, sostegno e inglese compresi. Quota complessiva della secondaria di primo grado, 1.557. Infine, l’organico della secondaria di secondo grado è composto da 1.686 persone.

Effetto importante

Si può parlare di fuga dalla scuola? «Sicuramente l’annuncio della misura ha avuto un effetto importante – afferma Gerardo Salvo – Parecchia gente è interessata, la voglia di andare in pensione è tanta. Ma noi stiamo facendo le prime simulazioni e i più non hanno proprio convenienza. Infatti vediamo che gli uomini soprattutto non sono convinti».

A maggior ragione se la loro è l’unica entrata economica di casa. C’è una nota tecnica non irrilevante: dal 1995 gli assegni delle pensioni si misurano sui contributi versati. Ma molte persone hanno, nel corso della loro vita professionale, un sistema misto: retributivo e contributivo. Risultato: «Chi ha tantissimi anni con il primo sistema ha meno perdita nello scegliere quota cento, perché l’importo viene calcolato non su quello che è stato versato, ma sul corrispondente nella busta paga. Più danneggiato chi ha il sistema contributivo».

Il calcolo

Già, ma quanto danneggiato? La media è un taglio del 23-25% della pensione che avrebbe percepito a tempo debito. Chi ha il sistema contributivo potrebbe smenarci fino al 30%, chi il retributivo sul 17-18%. Dati ancora approssimativi – precisa Salvo – perché non c’è ancora il decreto in provveditorato.

Certo è che la prospettiva scuote il mondo educativo, perché ci sono parecchi ultracinquantenni, e molti appunto ancora non di ruolo nonostante l’età.

«Noi li caliamo nella realtà – spiega il sindacalista – ecco perché siamo convinti che il numero di persone che aderiranno saranno in effetti meno, anche la metà se non meno ancora di chi avrebbe diritto».

Il quadro si delineerà entro il 28 febbraio, quando dovranno essere presentate le dimissioni con la postilla dell’adesione a quota cento. Che poi entreranno altrettanti giovani rispetto ai neopensionati c’è da dubitarne: negli organici mancano già un migliaio di posti.

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