Riforma delle pensioni bocciata in Svizzera. Anche per i frontalieri

Avrebbe dovuto incidere sulle rendite e sull’età pensionabile (65 anni per uomini e donne). Aureli: «Non è un lasciapassare contro i lavoratori»

La madre di tutte le riforme della sempre puntigliosa Confederazione Svizzera - quella che avrebbe dovuto incidere direttamente sulle rendite da pensione (70 franchi in più al mese) e sull’età pensionabile e che naturalmente vedeva i nostri lavoratori frontalieri nel ruolo di spettatori interessati - è stata respinta al mittente dal 52% degli elettori.

Un risultato a sorpresa e al tempo stesso un segnale inequivocabile di come i nostri “vicini”, nonostante il pressing sul Governo delle cosiddette lobby, abbiano scelto di andare sul sicuro. Dunque per ora niente aumento dell’Iva e, per diretta conseguenza, niente finanziamento supplementare dell’Avs (Assicurazione Vecchiaia e Superstiti), ma soprattutto niente pensione a 65 anni per tutti o meglio nessun anno aggiuntivo di lavoro per le donne, oggi in pensione a 64 anni nella vicina Confederazione.

Cosa significa tutto questo? Per andare al nocciolo della questione, gli elettori d’oltreconfine hanno preferito lasciare le cose come sono, a cominciare dal cosiddetto “secondo pilastro” - ovvero la pensione professionale integrativa obbligatoria (solitamente molto cospicua) - che non verrà toccato d’una virgola.

Discorso che vale anche per i frontalieri, perché - questo va rimarcato - non c’è distinguo alcuno di fronte al sistema previdenziale svizzero. Gran parte dei Cantoni hanno scelto la strada del doppio “no”, a cominciare dal Canton Grigioni. Non così il Ticino, in cui il doppio quesito ha superato lo scoglio delle urne con percentuali vicine al 55%. Un dato in netta controtendenza con quello della Confederazione. «E un giorno difficile per l’Avs ed anche per gli attuali e i futuri pensionati», il commento a caldo della consigliera nazionale Marina Carobbio, a microfoni di TeleTicino.

E c’è già agita lo spauracchio di un nuovo progetto di legge, che porterebbe l’età pensionabile a 67 anni. Questo per garantire maggiore solidità ad un sistema pensionistico che soprattutto negli ultimi tempi ha mostrato qualche scricchiolio. Prova ne sia che ieri, con una conferenza stampa convocata a metà pomeriggio, è intervenuto sull’argomento il ministro dell’Interno, Alain Berset (il “papà” della riforma), spiegando che «bisognerà che la politica trovi un percorso per stabilizzare primo e secondo pilastro».

«Come sindacato continueremo a vigilare ed adoperarci a difesa dei diritti dei lavoratori. Per sgomberare il cambio da possibili fraintendimenti, emersi in Svizzera oggi (ieri, ndr) subito dopo l’esito del voto, questo doppio “no” non deve essere visto come un lasciapassare per fare dei tagli alle rendite Avs e nemmeno per aumentare l’età del pensionamento», sottolinea Sergio Aureli, responsabile frontalieri del sindacato svizzero Unia. Nonostante la bocciatura delle urne, il Governo di Berna pare però davvero intenzionato a non rimanere a lungo con le mani in mano ed a varare - a stretto giro - una corposa riforma delle pensioni. Un cammino tutto in salita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA