Scandalo forno crematorio
È già pronta la class action

Novecento cremati fuori Como dal giugno 2016 per il blocco della struttura lariana. Lo scandalo di Biella e le possibili ripercussioni

Como

Oltre novecento comaschi sono stati cremati, dopo il 4 giugno 2016 e fino ad oggi, in strutture fuori provincia. Tra queste c’è anche il forno crematorio di Biella, al centro di uno scandalo che ha portato all’arresto di due persone. Un’inchiesta che ha portato alla luce quella che gli inquirenti biellesi hanno definito «una lugubre catena di montaggio della morte, a fini di lucro», con salme cremate assieme, ceneri mescolate e anche gettate in contenitori dell’immondizia indifferenziata, cadaveri distrutti per poter far lavorare il forno a pieno regime, con relativi aumenti dei guadagni. Tra le potenziali vittime di quella che potrebbe configurarsi come una truffa anche molte famiglie comasche, che ora potrebbero anche chiedere i danni alla luce di quello che hanno scoperto gli uomini della Procura di Biella.

L’idea, partita dalla figlia di una donna biellese cremata nel forno, è quella di una class action (per aderire è possibile scrivere via mail a [email protected]).

Nel frattempo il Comune, rispondendo a un’interrogazione del consigliere Fulvio Anzaldo, ha ammesso che il Comune ha perso una cifra media di 600mila euro all’anno, dopo la chiusura del forno crematorio. Nessuna certezza sulla riapertura, che il sindaco Landriscina aveva indicato nel giugno scorso. Dal 2012 il Comune ha speso 105mila euro per i lavori di manutenzione del forno.

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