Strage di Erba, lo sfogo dei Castagna: «Vigliacco fare audience sulla sofferenza delle vittime»

La bufera mediatica «Speravamo fosse finita. Qualcuno sta vendendo delle menzogne spacciandole per verità»

«Speravo fosse finita ma ci risiamo». Di fronte all’ennesimo affondo mediatico sulla strage di Erba, Pietro e Beppe Castagna decidono di fare un’eccezione rispetto alla scelta del silenzio - silenzio che avevano rotto solo per raccontarsi nel podcast Anime nere realizzato lo scorso 11 dicembre da La Provincia - e sui social danno sfogo a tutta l’amarezza per le ultime notizie sul caso, con un magistrato della procura generale che ha realizzato una relazione (indirizzata al suo capo) per proporre la possibile richiesta di revisione del processo che ha portato alla condanna di Rosa Bazzi e Olindo Romano.

I fratelli Castagna hanno riproposto una riflessione, già pubblicata cinque anni fa quando taluni talk show hanno preso di mira proprio Pietro Castagna, alla ricerca di un’inesistente pista alternativa rispetto alla colpevolezza dei coniugi Romano.

«Purtroppo - scrivono i Castagna, che nella strage hanno perso madre, sorella e nipotino - la superficialità è meno faticosa del pensiero consapevole, ed essendo quindi più facile, trova spesso terreno fertile in persone incapaci di capire che qualcuno sta vendendo delle menzogne spacciandole per verità, manipolando, omettendo, ricucendo ad arte, perché è più facile farsi convincere che capire. Abbiamo vissuto anni di processi, visto decine di periti, ascoltato centinaia di ore di dibattiti, non dieci minuti di trasmissione tra uno stacchetto della Marcuzzi e l’altro, ma davanti a una corte di primo grado a Como, di secondo grado a Milano, una corte di cassazione a Roma in anni di processo, tre gradi di giudizio davanti a 26 giudici, davanti a noi parenti delle vittime, non davanti ad una telecamera, non davanti a quel perverso meccanismo che deve solo “vendere” non verità, ma torbide menzogne, menzogne tanto vigliacche che insinuano».

Parole pesanti e amare, per chi ha vissuto sulla propria pelle tutta la sofferenza di illazioni e campagne mediatiche: «Il problema è che in questo meccanismo perverso ci sono vittime, persone e sentimenti, non un prodotto, non una nomination del Grande Fratello, non una discussione da bar, non un rigore mancato su un campo di calcio, ma delle persone, con una vita o quello che ne rimane di essa, e sopravvivere, da anni, a questo meccanismo non solo è difficile, ma profondamente ingiusto».

Quindi vengono messe in fila tutte le prove che hanno portato alla sentenza all’ergastolo per Rosa e Olindo: «Premiditazione, movente, confessioni (che chiamerei rivendicazioni), testimone oculare, tracce ematiche, intercettazioni, ammissioni annotate in carcere: potreste anche non essere convinti di qualcuna di queste cose, ma non potete credere che tutto sia davvero frutto di un complotto».

Quindi la chiusura: «Non sta a noi, né difendere la procura né gli inquirenti né il loro operato,consentiteci di difendere però la verità, che per noi è solo una, consentiteci di essere indignati e increduli nel sentire gente che definisce i colpevoli come innocenti vittime di una giustizia sommaria e faziosa, definiti addirittura come “un gigante buono e una gracile signora” questo gigante buono e questa gracile signora hanno ucciso brutalmente nostra madre, nostra sorella, nostro nipotino, la signora Valeria, hanno tentato di uccidere il signor Mario, spezzando pochi anni dopo la sua vita e e la vita di nostro padre, facendo vivere a me e a Beppe, a Elena e Andrea Frigerio un incubo continuo. La superficialità è meno faticosa del pensiero consapevole e chi sfrutta questa debolezza di molti solo per fare audience o per crearsi carriere o visibilità, è un vigliacco».

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