Taborelli: «Soldi a Pennestrì
anche per un’altra pratica»

Tangentopoli del fisco: due casi contestati dalla Procura

Di fronte al pubblico ministero che lo accusava di corruzione, Ambrogio Taborelli decide che il momento di dire tutto era giunto: «E le aggiungo anche un’altra cosa» fa mettere a verbale l’ex presidente della Camera di Commercio «dopo l’incontro in cui Pennestrì disse a me e mio fratello Mario Alberto dei suoi rapporti con Leoni (l’ex presidente dell’Agenzia delle entrate di Como in cella per aver incassato decine di migliaia di euro in tangenti ndr) ci siamo rivolti a lui anche per un’altra pratica minore, su un trasferimento immobiliare. Ho dato 3mila euro in contanti ad Antonio Pennestrì, che mi disse che li avrebbe dati al figlio Stefano che aveva seguito la vicenda».

Sono due, quindi, «gli interventi illeciti» - per dirlo con il gergo scelto dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Como - che i vertici dell’agenzia del fisco fecero lo scorso anno in favore di Ambrogio e Mario Alberto Taborelli, grazie all’intermediazione tangentara dell’ex patron della Comense.

Quell’altro favore chiesto all’amico dell’amico riguarda una compravendita immobiliare della Nuova Tessitura Serica Vittorio Fumagalli (della quale la tessitura Taborelli ha un quarto delle quote sociali). Secondo l’Agenzia delle entrate l’immobile era passato di mano con un valore dichiarato inferiore rispetto a quello reale, da qui l’avviso a pagare 15mila euro (sanzioni escluse). Un avviso completamente annullato da Leoni «con la complicità di Stefano La Verde» il capo team dell’area legale dell’ufficio del fisco.

Che La Verde fosse intervenuto a favore dei Taborelli, i finanzieri avevano avuto il sospetto quando, a febbraio, hanno intercettato la seguente conversazione tra il funzionario dell’Agenzia e Stefano Pennestrì: «Quell’altro - chiede La Verde - come c... si chiamava?». E il commercialista? «Chi, Taborelli?». «Quello del ricorso, dell’accertamento del registro...». «Taborelli».

Ma l’accordo sul patteggiamento con la Procura, ovvero la pena a un anno e 10 mesi di reclusione (con la sospensione condizionale) oltre il risarcimento di 60mila euro, gli imprenditori Ambrogio e Mario Alberto Taborelli l’hanno soprattutto raggiunto per quei 50mila euro consegnati a Pennestrì e destinati a pagare la mazzetta al capo del fisco comasco.

Prima ancora che al pubblico ministero, l’ex presidente di Camera di Commercio e Confindustria Como confessò quella tangente al suo commercialista (che non era Pennestrì e che nulla ha a che vedere con la vicenda corruttiva): «È passato qui l’Ambrogio - racconta a un collega - e mi dice “ti devo confessare che noi, alla fine, qualcosa abbiamo pagato».

«Sono stato io - confesserà il 24 luglio scorso Taborelli al sostituto procuratore Pasquale Addesso - a recarmi il 26 novembre dello scorso anno allo studio Pennestrì e a consegnare i 50mila euro in contanti nelle mani di Antonio». Denaro che con il fratello Mario Alberto è stato così reperito: «25mila euro prelevati da contante presente nella cassa in azienda, 15mila somme da me detenute e 10mila somme detenute da mio fratello». Cinquantamila euro pagati per risparmiarne 80mila, con un vantaggio finale di 30mila euro.

Non proprio l’affare del secolo.

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