«Temevo di non tornare a casa
Mi hanno salvato medici speciali»

Covid, il racconto del comasco Carlo Clerici e dei suoi 83 giorni in ospedale

Quando è entrato in pronto soccorso era autunno. E Como era nel pieno della tremenda seconda ondata Covid. Quando è uscito dall’ospedale mancavano pochi giorni a San Valentino. E poco più di un mese alla primavera. In totale 83 giorni in corsia, ma alla fine ha vinto lui e Carlo Clerici, ex litografo in pensione, è tornato a casa.

Voce squillante, il signor Clerici racconta la sua odissea con un unico scopo: la gratitudine. «Per 83 giorni e 83 notti molte persone mi hanno accudito con tanto affetto. E io voglio ringraziarle uno a uno».

I primi sintomi che il maledetto virus lo aveva colpito arrivano poco prima di metà novembre: «Qualche linea di febbre e un po’ di affanno. Speravo di poterlo curare da casa e ci ho provato grazie al mio medico, il dottor Marco Molteni, un vero angelo custode: non è solo un medico, è soprattutto una persona speciale. Che ci ha aiutato e ci aiuta ad attraversare con la sua umanità questo difficile periodo». Il plurale è per la moglie, Rita Tronchin. Che ricorda: «Ci ha portato un ventilatore polmonare a casa, ma dopo qualche giorno abbiamo capito che non era sufficiente. Il 18 novembre, alle 4 del mattino, allora decido che bisogna chiamare il 112. Lui non voleva e si è arrabbiato».

«Avevo paura - spiega il signor Clerici - che non sarei più tornato a casa. In ospedale non ci volevo andare». Al pronto soccorso del Sant’Anna ci arriverà a sirene spiegate: «Da quel momento è iniziato un incubo per me e per i miei famigliari». Viene ricoverato nel reparto Covid: «Prima maschera, insufficiente, poi casco con ossigeno per parecchi giorni e notti. E posso garantire che comunicare e mangiare non è facile in quelle condizioni». Eppure con regolarità Carlo Clerici riesce a chiamare sua moglie, la figlia Cinzia e i nipotini Alice e Leonardo. «Per nostra nipote, che è più grandicella, è stato difficile vedere il nonno così - spiega la signora Tronchin - Leonardo invece è più piccolino, ma gli sono rimaste impresse le videochiamate. Una sera ha detto: “ho visto il nonno, aveva una palla in testa”».

I giorni nel reparto Covid sono stati i più difficili: «Il mio morale scendeva e incominciavo a rifiutare cure e cibo. Ma la costanza dei medici, a partire dai dottori Mozzillo, Merlo, Molteni e Corinti e tutti gli operatori, mi hanno risollevato il morale fino a ridarmi il sorriso e la fiducia. Dopo una ventina di giorni finalmente l’ennesimo tampone è negativo, e così esco dal reparto Covid e vengo trasferito in Medicina 1». Qui la situazione migliora giorno dopo giorno, ma il ritorno a casa è ancora lontano.

La riabilitazione

«I medici, in particolare i dottori Marinelli e Fabbro, sono stati molto scrupolosi ed attenti alle mie condizioni e tenevano informati il mio medico di base e, umanamente, i miei famigliari. Tutti si sono presi cura di me, mi hanno assistito, sostenuto moralmente e curato di tutte le mie ansie».

Dopo oltre un mese di ricovero, il 22 dicembre finalmente la notizia: «Trasferito a Lanzo al C.O.F. per la riabilitazione». Per il signor Clerici salutare tutti è un momento quasi commovente: «Mi ero affezionato». Arrivato a Lanzo viene ricoverato nel reparto di riabilitazione cardiologica: «Mi mancavano le forze e non sapevo più nemmeno camminare. Sono stato accolto da persone gentilissime e la professionalità dei medici e dei fisioterapisti , come Valeria, Fulvio e Matteo, mi ha restituito le forze».

Il Natale 2020 lo passerà in camera, a tentare di fare una nuova conquista: «Il 25 dicembre ho fatto i miei primi 3 metri con deambulatore e ossigeno, ero felicissimo è stato il mio regalo di Natale». Ma a Lanzo Carlo Clerici riceve anche un altro regalo: finalmente può vedere sua moglie Rita. Non nella stessa stanza: «La vedevo nel viale sottostante la finestra quando veniva a portarmi i cambi della biancheria, accompagnata dagli amici Lorella e Silvio, e questo mi riempiva di gioia».

Il ritorno a casa

«Con il passare dei giorni, sostenuto dalla dottoressa Butti e dal dottor Falcetto, mi convincevo che me la sarei cavata. Le giornate scorrevano veloci impegnato con visite, fisioterapisti e ginnastica respiratoria, ero tutto il giorno impegnato e non mi è mai capitato un attimo di malinconia» anche se, ammette, «alla sera quando mi coricavo pensavo ai miei famigliari».

E, finalmente, il ritorno a casa: «I miei vicini mi hanno accolto con striscioni e palloncini» ricorda. Poi il pensiero torna al virus: «Questa malattia è come un terrorista dinamitardo, colpisce quando vuole, come vuole e chi vuole... e non tutti allo stesso modo. Ma io ce l’ho fatta» sottolinea. Prima di ripetere ancora: «Ce l’ho fatta grazie a chi mi è stato accanto».

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