Uccise l’amico per sbaglio
Indagine chiusa, lui vuole patteggiare

Chiusa l’indagine sull’incidente che costò la vita di Roberto Fusi, morto per una pistola che si pensava scarica. A processo Antonio Ballan, autista di autobus: provò a sbarazzarsi del cadavere abbandonandolo a Faggeto

La Procura della Repubblica di Como (pm Mariano Fadda) ha chiuso in poche settimane l’indagine sulla morte di Roberto Fusi, 50 anni, ucciso con un colpo di pistola la sera dello scorso 6 marzo, a poche ore dall’inizio del “lockdown”.

Antonio Ballan, 51 anni, autista di pullman in una azienda comasca di autotrasporti, sarà giudicato con ogni probabilità in udienza preliminare a giugno: al decreto di giudizio immediato - secondo una formula che prevede l’approdo diretto in dibattimento senza il filtro dell’udienza preliminare - il suo avvocato, Riccardo Guido, ha risposto proponendo di poter patteggiare. Il patteggiamento esclude dal processo la madre e i fratelli di Fusi, che senz’altro si sarebbero costituiti parti civile (li assistono gli avvocati Enrico e Michele Gelpi) e che, a questo punto, per ottenere un risarcimento dovranno proporre una causa civile.

Accusato di omicidio colposo e della detenzione abusiva di una carabina calibro 22 ereditata dal nonno e mai denunciata, Ballan, lo ricordiamo, era stato arrestato poco dopo il ritrovamento del corpo di Fusi, che l’autista di un autobus di linea aveva visto esangue sul selciato di una piazzola lungo la Lariana, a Faggeto.

Accanto al cadavere, pochi minuti più tardi, i carabinieri della compagnia di Como - che poi svolsero anche le indagini successive - rinvennero una Glock 9x21 regolarmente denunciata, con la quale risalirono fino al proprietario, nonché primo indiziato. Si appurò che l’omicidio fu conseguenza del caso, oltre che di una certa leggerezza. La sera prima, nel suo appartamento di via Ciceri, Ballan aveva ceduto alle insistenze dei tre amici che erano con lui - tra i quali Fusi - accettando di mostrare loro le sue armi, la carabina che non avrebbe potuto detenere e tre epistole. Era convinto non solo di averle separate tutte dal loro caricatore, ma di essersi sincerato anche che nessuna avesse ancora il colpo in canna. Non era così. Quando, attratto dal puntatore laser, Fusi chiese a Ballan di puntargli l’arma alla fronte e di fare fuoco per vedere l’effetto che fa, quello ubbidì senza immaginare cosa il destino avesse in serbo per entrambi. Questa ricostruzione fu confermata anche dagli altri due testimoni, che dopo subito dopo fuggirono a gambe levate e in preda al panico. Poi Ballan, senz’altro più spaventato di loro, si caricò il cadavere dell’amico in macchina e se ne liberò a Faggeto. Un tentativo un po’ goffo di sviare le indagini di cui si pentì poco dopo, rendendo al magistrato un’ampia confessione.

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