Vi racconto la mia Angelica
Che grande lezione d’amore

DIOGENE / Aveva pochi mesi quando le fu diagnosticata la fibrosi cistica. Il ricordo della sorella Serena: «Non ha mai smesso di combattere e di dare agli altri tutta se stessa»

(Articolo pubblicato la scorsa settimana su Diogene, il settimanale del martedì dedicato alle storie, al volontariato, al terzo settore)

Il primo certificato di grande coraggio risale al 10 giugno 1998. Angelica ha sei anni e glielo consegna, a Milano, la dottoressa Rosa Chiara Moresco dell’istituto pediatrico De Marchi, il centro regionale di riferimento per i malati di fibrosi cistica. Simbolo del certificato è un leone che sogghigna, con una grande criniera e la coda ritta. Il testo riporta che «Angelica Angelinetta di anni sei ha dimostrato grande coraggio di fronte al dottore».

Il coraggio non l’ha mai perso e per tutta la sua vita questa bella ragazza di Dongo, dal sorriso contagioso, si è comportata da leone. Parliamo al passato perché oggi Angelica non c’è più. È morta nei giorni scorsi, a 26 anni, a causa della fibrosi cistica. «Io sono la sorella maggiore di Angelica. Ho 28 anni e lavoro come impiegata alla Salice Occhiali, azienda che produce occhiali sportivi e mi dedico alla mia passione principale, la danza, insegnando hip-hop ai bambini - si presenta Serena -. Eravamo sorelle oltre che migliori amiche e tra le due era lei quella brava a usare le parole e a colpire il cuore della gente. Io ero lì sempre al suo fianco per appoggiarla in ogni situazione».

Una delle foto pubblicate sul profilo Facebook di Angelica le ritrae vicine, in posa da ballerine, tutù azzurro per Serena , bianco per Angelica, sorridenti. «Ha sempre detto grazie alla malattia - prosegue Serena - Per me e i miei genitori era assurdo ma lei spiegava che era il suo miglior biglietto da visita e che l’aveva fatta diventare quello che era».

Un esercito d’amore

«Crescere con questa malattia significa capire che vivere è la cosa più bella e rara al mondo e che i più, esistono solamente - scriveva Angelica in un messaggio - Significa amare profondamente e sorridere con il cuore, vedere le cose in maniera diversa, meditare sulla mia vita con urgenza appassionata. La fibrosi cistica è probabilmente la causa dei miei più grandi problemi e pensieri, ma è questa bestia che mi ha fatto diventare quella che sono, che mi ha fatto conoscere le persone più importanti e speciali, che mi ha fatto capire i valori della vita, che mi ha circondato di persone stupende».

E Angelica, oltre che coraggiosa, era altruista. «In occasione della marafibrositona ha voluto dare spazio anche ad altre associazioni come quella dei donatori di sangue, quella di midollo osseo, quella dei donatori di organi, la Croce Rossa, gli Alpini, le Proloco - sottolinea Serena - tutti uniti per un unico scopo, fare del bene. Ha sempre dato tutta se stessa per aiutare gli altri e sensibilizzare sulla malattia, creando un vero esercito d’amore. Ci chiamava i suoi “angeli”. Angelica, infatti, ha sempre creduto molto negli angeli».

La “marafibrositona” è una corsa non competitiva. L’ultima edizione, la quarta, si è svolta lo scorso 8 settembre, sul lungolago di Gravedona. In tutto sono stati raccolti più di 80mila euro, fondi donati alla Fondazione per la ricerca della fibrosi cistica, di cui Angelica era testimonial. Alla prima edizione erano stati raccolti 21mila euro, donazione quadruplicata nel giro di quattro anni. Un successo per la delegazione di Dongo, piccolo paese del lago di Como, che l’ha resa un grande punto di riferimento per la Fondazione.

Dalla diagnosi al trapianto

La scoperta della malattia avviene quando Angelica aveva pochi mesi. Allora sui neonati non si effettuava ancora lo screening ma la mamma si era accorta che quella bimba aveva la pelle salata e poi c’erano quei colpi di tosse, strani. «Il nostro pediatra - ripensa Serena - ci suggerì di fare un test che confermò che Angelica aveva la fibrosi cistica. Nonostante la malattia e le terapie quotidiane, i nostri genitori hanno sempre dato e fatto il massimo per permetterle di vivere una vita normale, realizzando ogni suo desiderio».

Dopo le medie, si era iscritta, come la sorella, all’istituto tecnico turistico. Serena, poi, va all’università a Pavia dove si è laureata in lingue e culture moderne mentre Angelica frequenta l’Insubria a Como e si laurea in mediazione linguistica. L’anno che cambia tutto è il 2017, «il suo anno, ce lo siamo tatuate sulla pelle». La sua compromissione a livello respiratorio sta peggiorando, i ricoveri in ospedale sono sempre più frequenti e allora Angelica, sapendo che l’attesa sarebbe stata di almeno un anno - così è in genere - decide di mettersi in lista per il trapianto di polmone. Dopo neppure due mesi, invece, la chiamata. C’è un donatore. «Noi abbiamo sempre avuto paura ma l’abbiamo sostenuta». L’11 aprile 2017 viene operata. A distanza di neppure un mese, il rigetto, acuto. «Poi però ha risposto bene alle cure ed è tornata a casa. A giugno dopo la marafibrositona, alla visita di controllo le trovano delle macchie. È un linfoma. È una cosa che può capitare al 2% dei trapiantati e anche in questo Angelica è stata unica e rara. Serve la chemioterapia ed è stata dura per lei accettarla. Lei ci teneva sempre ad essere bella, si curava, era la sua valvola di sfogo e guardandola mai avresti detto che fosse malata».

L’ultima salita

A distanza di un anno, un’altra batosta. A giugno è colpita da una rara polmonite bilaterale che supera solo grazie all’aiuto di un “polmone artificiale” e dosi massicce di cortisone. La sua marafibrositona viene spostata a settembre per darle la possibilità di esserci. La polmonite le ha compromesso la capacità polmonare ed è costretta, per la prima volta in tutta la sua vita, ad avere bisogno costante di ossigeno.

«Se tutti voi provaste, anche solo 20 secondi cosa significa non riuscire a respirare, cosa significa sentirsi morire senza aria. Cambiereste il modo di affrontare la vita, cambiereste il modo di vedere la vita, tutto acquisterebbe un sapore ancora più grande - così Angelica ha descritto pubblicamente questa sua “fame d’aria” -. Stasera siete qui per questo, siete qui per una causa troppo bella, siete qui per rendervi conto che avere la salute significa avere già tutto e quindi questa sera riuscirete a tenere lontani tutti i piccoli pensieri che annebbiano la vostra felicità. Chi ha la salute? Oramai lo sapete tutti, ma lo ripeto ancora. È padrone del mondo. Può farne un capolavoro. Vorrei che stasera si respirasse questo, tanto bene».

A settembre, infine, è la volta di una nuova polmonite, non grave come quella di giugno ma a livello respiratorio la situazione era già pesantemente compromessa. «A quel punto ha deciso di andarsene - ricorda Serena - Era una forza della natura e i tramonti e le albe di quei giorni, il vento caldo che è soffiato, sono stati tutti suoi segnali per spingerci a portare avanti il suo obiettivo, a rammentarci le sue parole “Io non vivrò mai in un mondo libero da questa malattia, lo faccio per voi, per chi verrà ed è giusto così”».

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