Cultura e Spettacoli
Venerdì 09 Aprile 2010
La mafia nascose con le stragi
i suoi affari con imprese lombarde
I risultati di un'inchiesta giornalistica "vecchio stile", condotta da Alfio Caruso, il più esperto reporter sulle mosse di Cosa Nostra, getta una luce inquietante sugli ultimi vent'anni di politica & economia del nostro territorio.
«I media si sforzano il più possibile di informare sulla mafia» spiega Alfio Caruso, scrittore ed editorialista, da anni impegnato in inchieste sulla mafia. «C'è sempre il tentativo di raccontare: a volte veniamo a sapere anni dopo cosa realmente è accaduto. Dopo "Gomorra" in cui si è parlato dei Casalesi, oggi in declino, si parla della N'drangheta… È l'organizzazione malavitosa più pericolosa, è stata la meno perseguita e meno conosciuta. La mafia è sempre stata intrecciata al potere politico e imprenditoriale. E l'abbiamo scritto».
Quando ha iniziato a occuparsi di mafia?
Nel 1987 per il "Corriere". Il primo pezzo fu un commento sul maxi-processo per mafia conclusosi quell'anno. Scrissi che era una sentenza importante per lo Stato ma che colpiva le cosche perdenti e i mafiosi dietro le sbarre. I più pericolosi rimanevano fuori e facevo i nomi di Provenzano e Riina. Buscetta aveva colpito i nemici coi verbali non potendo più farlo con le pallottole. Non ho mai usato il termine pentito, i collaboratori di giustizia sono mafiosi che vanno con Cosa Nostra per fare carriera e quando vengono arrestati cambiano bandiera. Suscitai polemiche.
Nel suo libro «Milano ordina uccidete Borsellino» (Longanesi) sostiene che le stragi sono state compiute per impedire a Borsellino e Falcone di arrivare a Milano….
Lo dice la sentenza del processo d'appello del "processo bis " tenutosi a Caltanisetta nel 2002. Borsellino puntava all'imprenditoria milanese, non si sarebbe fermato davanti a nulla. Ci fu un incontro con il colonnello Mario Mori il 25 giugno in cui Borsellino chiese di essere informato sull'inchiesta mafia e appalti che riguardava uomini delle cosche e politici. L'intervista al "Corriere" in cui il magistrato parla di Lottusi, l'anonimo ragioniere milanese la cui finanziaria rappresentava una centrale di riciclaggio. Le dichiarazioni di Spatuzza mettono ulteriori tasselli a questo mosaico: ruba la 126 rossa, l'imbottisce di esplosivo e la consegna a Lino Mangano, con lui c'era un estraneo. Da 18 anni dentro Cosa Nostra nessuno ha mai rivelato il nome dell'attentatore. Spatuzza nei giorni successivi incontra i fratelli Graviano, loro rappresentano Milano. Chiarisco: Milano, non Berlusconi; sulla strage di via D'Amelio non ho trovato traccia di Berlusconi. Mentre per la nascita di Forza Italia l'incidenza dei mafiosi, soprattutto di Provenzano, è rilevante. L'importanza di Milano è raccontata in molti processi mafiosi fin dagli anni Settanta. Negli ultimi mesi sono stati arrestati a Milano nomi famosi della mafia fra cui Danilo Fidanzati, teneva i collegamenti fra la Sicilia e l'America.
Sempre più persone e associazioni prendono posizioni contro la mafia. Cosa sta cambiando?
Sono importanti, come testimonianza, per sostenere chi è in prima linea nella lotta quotidiana: poliziotti, carabinieri, magistrati. La mafia militare non è mai stata in disarmo come dopo gli arresti degli ultimi anni. Più forte della mafia è il sentimento di mafiosità. Si condensa in un "partito unico siciliano" (Pus) che, al di là di ogni ideologia, accumuna cittadini, magistrati, imprenditori, professionisti mafiosi: tutti cementati dall'appartenenza alle logge massoniche. Non è un caso che il penultimo presidente della Regione Sicilia, Cuffaro, è stato condannato a sette anni per favoreggiamento alla mafia e l'ultimo presidente, Lombardo, è indagato per associazione mafiosa.
(Estratto dell'intervista di Grazia Lissi ad Alfio Caruso, pubblicata sull'edizione cartacea de "La Provincia di Como" di sabato 10 aprile)
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