Purché il frammento non sia una "parte"

Guardate questa immagine, ma solo per farvi un'idea. Perché i frammenti rubensiani di Carlo Pozzoni perdono gran parte del loro appeal quando vengono stampati su carta, compresa quella patinata del catalogo della mostra «Rubens da vicino», in cui pure appaiono valorizzati al massimo, disposti come pennellate di colore. Questo effetto per così dire sminuente, lungi dall'allontanare il lavoro di Pozzoni dai capolavori di Rubens in mostra a Villa Olmo, fa subito emergere un tratto comune ai due artisti.
Sia il fotoreporter, sia il mago fiammingo del chiaroscuro hanno realizzato opere che si svelano a fondo soltanto quando si osservano da vicino. Solo a distanza ravvicinata, per intenderci, si comprende come tutto l'oro del vasellame del «Baccanale» rubensiano sia frutto di tocchi rapidissimi di ocra su sfondi scuri di pastosa complessità. Così, nella re-interpretazione di Pozzoni quello che conta, più della scelta del frammento da ingrandire, è la capacità di rendere la pennellata di Rubens, la diversa densità dei colori, il modo in cui la tela si impregna di materia. In una parola, nel rileggere con duplice sguardo - il proprio e quello dell'obiettivo - i quadri dell'artista fiammingo, Pozzoni li interpreta a modo suo, ma riuscendo a consegnare allo spettatore qualcosa di autentico su Rubens. Grazie all'ingrandimento e, insieme, alla stampa su seta, i frammenti evolvono dall'impressione fotografica alla pittura: un effetto che purtroppo si perde nelle riproduzioni su foglio. Chi osserva il lavoro di Pozzoni su carta, magari nella piccola dimensione qui proposta, vede una fotografia; ben diversa l'esperienza in galleria, dove sembra di trovarsi di fronte a lussureggianti dipinti. Quanto alla scelta di "fare a pezzi" i capolavori di Rubens, il risultato è insieme suggestivo e problematico. Da un lato, la decontestualizzazione operata da Pozzoni sollecita lo spettatore a interpretare, a interrogarsi, a ritrovare qualcosa di noto (Pozzoni vi vede richiami alla pittura di Morlotti e Morandi). Questo gioco concettuale, tipico dell'arte contemporanea, dà il meglio di sé - a giudizio di chi scrive - quando il frammento è realmente tale. Quando il "frammento" è una "parte" il divertissment così bene orchestrato dall'arte di Pozzoni, perde un po' del suo piglio. Perché? Forse perché la parte contiene già qualcosa o molto dell'intero a cui rinvia. Il pube velato/svelato di una delle «Tre Grazie» o il vello maculato della tigre offrono risposte ancor prima di suscitare domande, come fanno invece la maggior parte dei lavori di questa esposizione preziosa, che la vicinanza al "grande evento" di Villa Olmo rischia di penalizzare come una mostra "a margine", anziché di valorizzare.
Vera Fisogni

© RIPRODUZIONE RISERVATA