Cultura e Spettacoli
Venerdì 14 Gennaio 2011
Fratelli d'Italia a lezione di storia:
quell'Unità mai davvero capita
Lo storico Galasso apre il dibattito de <La Provincia>: <Molte ombre, ma ben poco da buttare>. Il federalismo? <Se ne parla oggi, come allora. Nel 1861 è iniziato un processo che continua>
Dei 150 anni dell'Unità d'Italia parlano tutti, ma raramente per farne un'analisi precisa e un bilancio su ciò che di essa va salvato e buttato. Si parla ogni giorno di Unità, ma non, per esempio di Risorgimento. Risorgimento come movimento d'élite, che poi non fu del tutto tale, come occasione vissuta pienamente da popolazioni diverse, che non si capivano e che si sono trovate ad essere un corpo unitario. Nei discorsi generici di questi mesi, anche politici, si dimentica il Risorgimento come conquista della libertà da poteri locali forti e stranieri, della democrazia e della modernità sociale ed economica. Da qui al 17 marzo si parlerà molto d'Unità d'Italia, ma poco del processo che la generò, quel momento storico che coinvolse (le cinque giornate di Milano, quelle di Brescia, i Mille di Garibaldi lo confermano) gran parte della popolazione dal basso. Sulle barricate c'era tanta gente comune, donne, che sognavano la libertà e, forse senza averne piena coscienza, sperava di far propri i principi della rivoluzione francese.
All'Unità d'Italia gli italiani ci arrivarono dopo anni di sangue e lotte corpo a corpo. Alla fine, nel 1861, si trovarono a issare una bandiera di tre colori che li avrebbe indentificati in una sola entità geografica, politica, ma soprattutto sociale ed economica. Prima l'Italia era solo «un'espressione geografica», diceva Metternich, poi è diventata uno degli stati europei più avanzati. A Reggio Emilia, il 7 gennaio 1797 in piena repubblica Cispadana, nacque il tricolore che poneva le basi di un'identificazione nazionale che non scordava le fondamentali differenze tra i vari territori. A due mesi o poco più dal 17 marzo, ci deve domandare che cosa significa oggi ricordare l'Unità d'Italia. Prima di tutto, dovrebbe significare andare a rileggersi la storia, per non farsi inghiottire dai luoghi e dal senso comune che, come spiega uno dei maggiori storici del Risorgimento italiano Giuseppe Galasso (direttore della <+G_CORSIVO>Storia d'Italia<+G_TONDO> e autore del volume <+G_CORSIVO>1861<+G_TONDO> entrambi della Utet), non sempre fa centro: «Manzoni ricordava - dice Galasso - che il senso comune ce l'hanno tutti, il buon senso ce l'hanno in pochi. I nostri politici spesso parlano per idee correnti, non per buon senso». E sono proprio alcuni politici a fare le pulci a un evento che, in quanto reale e storico, non si può negare. «Non fosse altro - aggiunge Galasso - perché gli stessi amministratori hanno giurato fedeltà alla bandiera». Una volta ripassata la storia, si capirà che c'è poco da buttare dell'Unità «nonostante le sue molte ombre - analizza Galante - come il non essere ancora stati capaci di costruire una struttura statale soddisfacente, una consapevolezza civica adeguata, l'aver conservato la concezione dualistica dell'Italia: sud, isole, nord-est e nord. Oggi come allora si parlava di federalismo, ma oggi lo si confonde col secessionismo. Allora si scelse la via unitaria, oggi si fa passare il federalismo come opposto all'Unità, cosa che in realtà non è, anche se la Lega ha messo molta acqua nel vino della secessione». L'Unità, dopo il Risorgimento, ha continuato a perfezionarsi, attraverso la lingua, ma anche attraverso i trasporti, la tecnologia, la televisione, la partecipazione popolare. Nel 1861 è iniziato un processo non sconfessabile nè arrestabile. «Dell'Unità d'Italia non butterei nulla - chiude Galasso - se non l'ingessatura della politica italiana che dura da vent'anni».
E voi, come vi rispecchiate nell'Unità d'Italia?
Partecipate al sondaggio sul nostro sito e scegliete in quali tra questi elementi il tricolore, la Costituzione e l'inno di Mameli vi identificate.
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