Cultura e Spettacoli
Domenica 20 Marzo 2011
Le lettere di Saba e Sereni
Dialoghi in punta di poesia
Archinto pubblica l'epistolario tra due dei maggiori letterati del '900: fra le altre, due missive descrivono le amlinconiche vacanze a Tremezzo del più giovane dei due poeti
Il libro si compone di 58 lettere, 39 di Saba e 19 di Sereni, conservate rispettivamente nell'Archivio Vittorio Sereni di Luino e nel Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia, un colloquio epistolare che copre un arco di tempo cruciale e decisivo per i due protagonisti, quello che va dall'immediato dopoguerra fino ai primi anni Cinquanta. Ed è anche il rapporto tra un giovane poeta che si sta facendo conoscere e un uomo anziano che ha già un suo ruolo ben definito nella storia letteraria italiana, Umberto Saba, che in questo autoritratto degli ultimi anni mette in mostra un carattere scontroso, un po' duro, certamente molto disilluso. Vittorio Sereni ha molta stima di Saba e glielo dimostra anche pubblicamente. Nel 1947 per la Radio Svizzera Italiana, in un ciclo sul "pubblico della poesia" dice: «Il problema specifico della poesia si riallaccia al problema più generale della cultura: non di ritrovare "la" tradizione si tratta, ma di stabilire "una" tradizione, qualche punto sicuro di riferimento comune. E, in questo senso, c'è lavoro per tutti. Legga Saba, per ora, chi si sente di respirare in certe strettoie. Quante parole sprechiamo ogni giorno a illustrare forme che non escono dal limbo delle buone intenzioni. Mentre col "Canzoniere" non si corrono rischi di questo genere".
Già si frequentano questi due poeti di generazioni assai diverse: li dividono trent'anni di differenza. Saba ha 63 anni, mentre Sereni è un giovane professore di trentadue anni, con due prove poetiche alle spalle, "Frontiera" e "Diario d'Algeria". E questa differenza un po' si sente, quando ad esempio Sereni si rivolge a Saba dandogli costantemente del lei, sempre molto cordiale, anche nelle discussioni, anche di fronte alla schiettezza critica che mette in atto Saba rispetto alle sue prime prove poetiche
Cecilia Gibellini, parlando del carteggio, sottolinea che si tratta "di lettere sorprendentemente ricche di questioni di varia natura, letterarie, storico-politiche, psicologiche e umane". Da una parte troviamo Sereni, la sua necessità di discutere sulla poesia, di "imparare", dall'altra invece troviamo il Saba degli ultimi anni, chiuso in un suo scetticismo di fondo, molto critico anche nei confronti del giovane amico, un uomo fondamentalmente isolato, tanto che nel 1949, dopo aver appena pubblicato "Storia e cronistoria del Canzoniere", in una lettera sottolinea il suo stato d'animo: "Di me non ho voglia di parlare. La mia solitudine è sempre più totalitaria". La Gibellini sottolinea quanto "le impuntature di un carattere sofferente e ispido come quello di Saba vengono sempre superate dalla dolcezza e, si potrebbe dire, dalla devozione del più giovane amico". E parla di "un affetto che nasce anche da un senso di solidarietà, di reciproca comprensione, legato ed esperienze e sentimenti comuni".
Tra le lettere ne troviamo alcune che riguardano anche i soggiorni del giovane Sereni sul nostro lago, a Tremezzo, una curiosa indicazione di "rotta" da lago a lago, dalle sponde della sua Luino, sul lago Maggiore a quelle di una vacanza lariana. E così queste due lettere di Sereni dal lago di Como, ci raccontano, come in una fotografia ingiallita nel tempo, come potevano essere le vacanze nel 1948, protagonisti un giovane poeta, la sua famiglia e un amico.
Il 6 agosto 1948 scrive a Saba: "Sono qui a Tremezzo, sul lago di Corno. Oltre a mia moglie e alle bambine c'è quello dell'ombra senza corpo - Giosuè Bonfanti, come lei lo chiama - al quale ho proibito di parlarmi di libri almeno fin che siamo qui. Traduco Marivaux, leggo poesie di stranieri e tento una rilettura integrale dello Zibaldone. Questo è tutto; ogni tanto penso al racconto che vorrei scrivere e anche a quelle tre o quattro poesie che "vedo", ma alle cui parole, che si affacciano a volte timidamente, non so dare l'indispensabile credito. Sono dunque sempre in piena crisi di fiducia in me stesso".
In una lettera successiva, scritta da Milano, il 10 settembre del 1948, si lamenta della pioggia sul lago di Como, ma svela di essere, oltre che poeta destinato a grandi cose, anche un abilissimo nuotatore: "Non si lagni il giovane Federico della difficoltà di bagnarsi nel mare di Trieste: anch'io, che sono il formidabile nuotatore che tutti sanno, tale da sfidare tutti i poeti italiani marittimi e no, sono stato costretto in casa per giorni interi da quella pioggia onde il lago di Como va celebre in quanto "vespasiano d'Italia". Negli ultimi giorni le acque del suddetto lago si son tinte del mio sangue, abbondantemente sgorgato da una discreta ferita prodotta da una latta arrugginita. Per cui, dopo averci rimesso metà del polpastrello d'un dito del piede sinistro, ho zoppicato per più giorni e ancor zoppico in onore delle belle vacanze sul lago".
Fulvio Panzeri
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