Giudici, vita in versi
sui tasti dell'impegno

Lutto nel mondo letterario per la scomparsa del poeta Giovanni Giudici. Era malato da tempo e avrebbe compiuto 87 anni il 24 giugno. I funerali si svolgeranno il 25 maggio dialle ore 17 a Le Grazie, frazione di Porto Venere, in provincia di La Spezia, dove era nato nel 1924.

di Serena Scionti

«Con tutta semplicità / lo devo dire / che un tempo sembrava lontano / il tempo in cui morire». Quel tempo è giunto: Giovanni Giudici è morto nella notte fra il 23 e il 24 maggio a La Spezia, malato da tempo. Era nato nel 1924 a Le Grazie, frazione di Porto Venere, dove oggi si svolgono i suoi funerali. Poeta, giornalista, saggista, insegnante, frequentò tra i maggiori suoi contemporanei, quali Saba, Sereni, Fenoglio, Arpino, Fortini. Nel 1953 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Fiorì d'improvviso, ma l'opera sua più nota è La vita in versi del 1965. Svolse anche attività di traduttore dal russo, dal ceco e dall'inglese, pubblicando Addio, proibito piangere e altri versi tradotti (1955-1980), e Vaga lingua strana. Dai versi tradotti, nel 2003. Si laureò in letteratura francese sul poeta Anatole France. Risale al 2001 l'ultimo suo testo, Dedicato ai pompieri di New York, apparso su Poesia nel 2001, preceduto da I versi della vita, il corpus dell'opera integrale raccolto nei Meridiani di Mondadori (con alcuni testi inediti), eccezionalmente pubblicato ante mortem. «Giovanni Giudici, con la sua poesia e il suo impegno civile, ha dato tanto alle nostre comunità. Non ce ne dimenticheremo. Il prossimo 18 giugno, nel corso della Festa della Marineria, i comuni del Golfo dei Poeti ne onoreranno la memoria». Così lo ricordano i sindaci della Spezia, Lerici e Portovenere, le amate terre liguri da cui emigrò per recarsi a Roma, poi a Torino (dove lavorò come copywriter all'Olivetti, l'azienda di Ivrea allora produttrice di macchine da scrivere) e infine a Milano. Fin da ragazzino scrisse sonetti e si applicò assiduamente alla lettura, senza però potersi comprare i testi, che prendeva in prestito nelle biblioteche: memorabile fu il giorno in cui poté acquistare il canzoniere di Saba stampato da Einaudi nel 1945, che gli costò metà dello stipendio! Di Saba e di Gozzano, del loro trobar leu, può essere oggi considerato erede. Impegnato nella lotta antifascista e poi in politica nel Pci, mirò ad una poesia aderente alla realtà: «metti in versi la vita, trascrivi / fedelmente, senza tacere / particolare alcuno, l'evidenza dei vivi». Amò Rilke e Campana, ma si cimentò volentieri anche con la prosa, dando alle stampe numerosi racconti, tra cui L'odore dell'acetilene, Il colore blu della morte, Uomini a gara. Dopo numerose vicissitudini lavorative - fece addirittura il garzone - approdò ad una certa quiete professionale e familiare, quasi a riempire quel vuoto  della perdita materna a tre anni che neppure gli ottantasei anni di esistenza riuscirono a colmare del tutto. Assetato d'amore e di vita, fu teso a traferire nella scrittura l'ansia della sua esistenza, a fare della poesia un accompagnamento alla propria autobiografia. Come i crepuscolari, cui  Franco Fortini lo accosta, fece risuonare sulla sua pagina la semplicità del quotidiano, nei minimalismi dei gesti consueti, nutrita da una robusta vocazione etica e da un'acuta consapevolezza del reale che pure non sconfina nel pessimismo, oltre che da un'arguta ironia. Pacato ma caldo nei vibranti affetti umani, il canto di Giudici fa apprezzare la vita e la morte insieme, con una lingua limpida dalla metrica curata che apre a squarci speranzosi pur nella dolenzia della condizione umana. «Inoltre metti in versi che morire / è possibile più che nascere /e in ogni caso l'essere è più del dire». Addio, Giovanni, sii.


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