Cultura e Spettacoli
Mercoledì 15 Giugno 2011
Se per amore di Elisa
sul lago torna il sereno
Giovedì 16 giugno esce in libreria l'atteso terzo appuntamento con la storia di Elisa Vanelli, l'eroina tragica narrata da Giuseppe Guin in due romanzi di grande successo popolare. Abbiamo letto in anteprima "Portami al lago" (Dominioni). Ecco le impressioni del critico Fulvio Panzeri.
Ad ogni nuova prova narrativa Giuseppe Guin conferma la sua forza di narratore, al punto che il terzo romanzo della "trilogia", iniziata con "L'amore imperdonabile" e proseguita con "Io ti aspetto qui", completa quello che è uno dei casi letterari di questi ultimi anni, soprattutto nei termini di un ritorno alla letteratura veramente "popolare", sia nelle modalità di proposta (una storia avvincente e misteriosa che non si chiude, ma come un "feulleiton" romanzesco, viene scandita in tre parti), sia per quanto riguarda la scrittura che Guin sa gestire con quell'essenzialità che è tipica del grande narratore, senza eccessi, forte di un fluire che mantiene continuamente viva l'attenzione, una scrittura che rimanda a certe grandi lezioni di Soldati, quello ad esempio dei "Racconti del Maresciallo".
Esce in questi giorni "Portami al lago", titolo giustissimo, perché in questa terza parte conclusiva è proprio il lago ad essere protagonista nel suo andare e venire di barche e "inglesine", di approdi notturni, di grandi ville storiche, senza togliere nulla all'Elisa Vanelli, eroina popolare di un lago che non ha ancora incontrato il boom economico. Guin sa gestire con estrema maestria il suo personaggio che risulta ancor più presente, proprio per il fatto che appare poco sulla scena, anche se tutto ruota intorno alla sua drammatica storia. Qui Guin accentua maggiormente le assenze di inquadrature dirette sull'Elisa, ma la Vanelli, pur nell'assenza, è sempre presente in scena, attraverso i racconti che la riguardano, attraverso la sua avventurosa ricerca di un rifugio sicuro.
Bisogna fare un breve riassunto delle puntate precedenti in cui abbiamo visto la povera e indifesa Elisa, in un paese del lago di Como, sul finire degli anni Cinquanta subire violenza e uccidere l'uomo che l'aveva violata. Si era nascosta, ma la sua fuga era durata poco: processata, era stata rinchiusa in carcere. "Io ti aspetto qui">, il secondo romanzo si fermava sull'immagine della sua reclusione, anche se Guin già allora aveva fatto capire che non aveva ancora giocato fino in fondo, da narratore, la sua partita con il personaggio di Elisa Vannelli. Ora ritorna (siamo nel 1959) ed è fuori dal carcere perché è riuscita a fuggire, grazie a qualcuno che le ha voluto veramente bene e non ha giudicato così severamente l'omicidio da lei commesso. E saranno in molti anche nel paese, mentre si fanno supposizioni sul suo nascondiglio (c'è chi dice che sia fuggita in Svizzera e chi l'ha vista da quelle parti, alla vecchia casa, dove vive il Gobbo, selvatico spaccapietre), a stare dalla sua parte, a non condannare il suo gesto, a capire le motivazioni che l'hanno spinta a farsi giustizia da sola.
Guin sa rendere ancora vivo l'interesse sulla sua storia costruendo un romanzo che agisce su due piani, uno spaccato godibilissimo sul beghinaggio di paese, tra cattiverie e curiosità, manipolazione delle notizie, voci che corrono e s'allargano e un altro che riprende il tema dell'avventura, più di quello del "giallo", con le indagini dei carabinieri, i vari spostamenti, le coperture necessarie a garantire all'Elisa di non ritornare in carcere. E non manca la storia d'amore, di un'antica castità, ma di una forza innocente, in grado di superare ogni difficoltà. È quella di Elisa, per il frate Mattia, che ha abbandonato il saio e che l'andava spesso a trovare in carcere.
Basta: non possiamo raccontare più nulla di questa trama ricca di colpi di scena, perché altrimenti priviamo il lettore di quel piacere raro di stare bene con un libro per tre, quattro ore, perché una storia come questa scritta da Guin è quella che si vorrebbe leggere in un pomeriggio d'estate, magari su una spiaggetta di lago. E forse il titolo del libro chiede anche al lettore di portarlo là dove sono i luoghi che racconta, perché tanto è viva questa immagine notturna del paesaggio lacustre, questa presenza dell'acqua, così come la descrive Guin, da sentirne, mentre si legge, impellente la necessità. Tutto, nel racconto, riporta a questa realtà di un lago vissuto, attraverso i casolari e le povere dimore degli spaccapietre, ma anche di ville di grande prestigio come la Pliniana, con le sue cascate d'acqua che sottolineano alcune delle pagine più belle del libro, quando l'Elisa trova rifugio nel lugubre scantinato della villa, luogo buio, in cui voci e rumori inquietano come nei miglior romanzi gotici. Sta in questo saper rileggere e comporre in un unico grande quadro, le varie sfumature del romanzo popolare a fare di Guin quel narratore forte che è. I grandi editori dovrebbero accorgersene, come hanno fatto i lettori. Sarebbe il caso che Guin, pensi, in futuro di raccogliere i tre romanzi in un unico tomo: avrebbe già un titolo che rimanda a quella tradizione realista lombarda che persegue nella sua scrittura e che è quella di un Emilio De Marchi, giustamente riletto nella nostra contemporaneità. Allora i romanzi portavano anche semplicemente il nome del protagonista e anche per questa "trilogia", basterebbe come titolo unitario "Elisa Vanelli". Come dire, un nome, una grande storia.
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