Da Lady Gaga a Steve Jobs
Ecco la legge del "desiderio"

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo in esclusiva e in anteprima uno stralcio dell'articolo "Da Lady Gaga a Steve Jobs. Idoli, idoletti e oggetti affini", che uscirà sul prossimo numero del bimestrale culturale "Vita e Pensiero" dell'Università Cattolica, in libreria dal 25 gennaio. In allegato il testo completo, la copertina della rivista, l'indice degli articoli pubblicati.

di Silvano Petrosino

L'annuncio della morte di Steve Jobs, cofondatore insieme a Steve Wozniak della Apple, ha scatenato mirabolanti commenti: «genio immortale», «l'uomo che ha cambiato il mondo», «l'uomo che ci ha cambiato la vita»; si è arrivati persino a scrivere: «È morto. È vivo. Così bravo a vendere le sue visioni che quando pronuncia la parola business tutti sentono la parola amore» («Wired»). È un film – termine appropriato in una società che si vanta di essere dei consumi e dello spettacolo – già visto, che anzi si continua a vedere, sebbene il protagonista cambi periodicamente all'interno di una trama che tuttavia resta sempre la stessa. La nostra società si alimenta di miti e di continuo ne crea di nuovi; tra di essi, per ricordare i più popolari e in verità anche i più inoffensivi, si possono citare John Lennon, la principessa Diana, Michael Jackson, Lady Gaga o Maradona, intorno al quale si è addirittura costituita una setta che periodicamente si raccoglie per celebrare il suo nome. Contrariamente a quanto pensano alcuni ingenui che continuano a denunciare «la mancanza di religione» e «l'assenza di valori spirituali», di religione ce ne è ovunque, ce ne è persino troppa, dappertutto, nella pubblicità così come nei discorsi dei politici, si scorgono spiriti e spiritelli, il sacro emerge di continuo all'interno della nostra cosiddetta società secolarizzata, assumendo spesso, e non a caso, un certo volto “selvaggio”: per l'appunto, più espliciti di così: «Steve Jobs è morto. No, è vivo!».

Non è solo cultura pop

Come spiegare un simile proliferare di miti e di fantasmi? Probabilmente si commetterebbe un errore, e si perderebbe anche un'occasione, se, per tentare di rispondere a tale interrogativo, ci si limitasse a prendersela con «la miseria dei nostri giorni» e con «i giovani che passano tutto il tempo davanti al computer» (è diventata ormai una vuota litania). Contro simili ingenuità è necessario munirsi di pazienza soffermandosi con coraggio su quella tendenza profondamente umana che ogni pagina della Bibbia non si stanca di denunciare: la pulsione idolatrica, la ricerca continua di un idolo di fronte al quale inchinarsi e dal quale farsi finalmente possedere. La via che conduce all'origine di questa pulsione è quella che prende l'avvio dalla distinzione, essenziale per comprendere il modo di esistere e di comportarsi dell'uomo, tra bisogno e desiderio.

Fantasmi della mente

Il desiderio non è bisogno; non è un bisogno particolare e neppure l'insieme dei bisogni. Il soggetto sa che desidera, ma, a differenza di quanto gli capita di fronte ai suoi bisogni, non sa mai che cosa desidera, non ha mai un pieno sapere su ciò che desidera, e ogni qualvolta crede/sogna di avere individuato la cosa o l'oggetto del proprio desiderio, ecco che quest'ultimo, l'oggetto, con rigore fallisce, puntualmente non mantiene le promesse e di conseguenza il desiderio si acuisce. Si deve quindi affermare con decisione che il soggetto desidera sempre ciò di cui non ha bisogno. Eccoci finalmente di fronte all'idolo. La Bibbia dice: «Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano, hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni» (Sal. 115,4-8). Intrecciando la figura del fantasma introdotta da Lacan con la pratica idolatrica è possibile portare alla luce due tratti essenziali del nostro tema. Innanzitutto è necessario non sottovalutare in alcun modo il godimento che un idolo/fantasma è sempre in grado di garantire, sebbene solo momentaneamente. Affermare che svanito un fantasma è sempre possibile appoggiarsi a un altro significa riconoscere che il possesso di un singolo oggetto, non potendosi mai configurare come la risposta adeguata alla mancanza del desiderio, non mette fine alla pulsione di possederne altri. Anzi, proprio perché di fronte al desiderio il fantasma relativo al singolo oggetto posseduto, l'idolo, è destinato, ultimamente anche se non immediatamente, a svanire, è il soggetto stesso ad autoconvincersi di doversi necessariamente coinvolgere con un altro fantasma attraverso il possesso di un nuovo oggetto: per l'appunto, il venir meno di un idolo non implica affatto il venir meno del processo di produzione degli idoli, anzi in verità lo alimenta e sollecita.

Consumismo idolatra
L'uomo ha sempre tentato di colmare la mancanza del desiderio che lo abita in quanto soggetto con il godimento derivante dal possesso e dal consumo degli oggetti. Un simile tentativo, quello di tradurre il desiderio in bisogno, è del tutto comprensibile; d'altra parte è anche vero che, poiché il godimento non è mai all'altezza del desiderio, di fronte al fallimento del singolo godimento, il soggetto può sospettare, ingannandosi, di non aver trovato ancora il godimento adeguato, può credere, ingannandosi, di dover sostituire il vecchio godimento (fallito) con un nuovo godimento, quello non ancora raggiunto, che proprio per questa ragione viene immaginato come quello perfetto, e così via.
La strada del godimento come risposta al desiderio è una via larga, costituita da puntuali fallimenti e da continue promesse, da evidenti battute d'arresto e da ostinate ripartenze.
Per concludere è possibile ritornare brevemente alla situazione attuale e ai suoi infiniti idoletti. In fondo bisogna riconoscere che Lady Gaga, Maradona o Amy Winehouse sono piccoli idoli, infinitamente meno pericolosi di altri idoli e altri fantasmi che hanno infestato la storia più recente e non solo essa: «la razza», «la-terra-e-il-sangue», «l'etnia», «la nostra civiltà»… Rispetto a simili idoli, gli idoletti che circolano nella nostra società dei consumi appaiono, almeno in superficie, come dei simpatici mostri la cui grande forza è tuttavia quella di riuscire a coinvolgere, e a distrarre, masse sempre più ampie e sempre meno avvertite. Il consumismo ha facilitato come mai prima il diffondersi di una simile pratica: la frequente sostituzione (distruzione) e il moltiplicarsi dei punti di sostegno al proprio desiderio è divenuta una pratica quotidiana per intere masse (ecco come oggi si realizza quel «bisogno di comunione nell'adorazione» di cui parla Dostoevskij), un'esperienza estremamente facile da realizzarsi anche perché poco costosa. Forse, per tutte queste ragioni, non è assurdo intravedere nel consumismo una sorta di comoda idolatria per masse a basso costo.
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