Enza ricorda Eli Riva
"Con lui vissi d'arte"

Incontro con la vedova dello scultore comasco (1921-2007), artista ella stessa, nella sua casa comasca. Guarda la fotogallery firmata da Carlo Pozzoni.

di Elisa Mariani *


«Quando abbiamo deciso di sposarci non volevamo fare né i confetti né il pranzo, ma per paura che li facesse mia madre ci abbiamo dovuto pensare noi». La signora Enza cerca in uno dei faldoni del suo archivio le partecipazioni di nozze per mostrarle, le stesse che, per la loro singolarità, a suo tempo "sconvolsero" Como: ai nomi, alla data e al luogo è infatti affiancata una riproduzione delle "Due teste", la scultura in porfido rosso che lo sposo, Eli Riva, «aveva fatto subito dopo avermi conosciuto». L'anno del matrimonio era il 1953, ma i due si erano conosciuti nel giugno del 1950. «Ero la segretaria di un concorso artistico che con l'architetto Castiglioni avevamo organizzato nell'ex Casa del Fascio. Partecipavo alla mostra con una mia opera ma registravo anche le iscrizioni: quando arrivò quella di Eli Riva da Rovenna ricordo che mi ero stupita che ci fosse un artista sul monte Bisbino. Ci frequentammo quindici giorni, tutti i giorni, e mi invitò nel suo piccolo studio di viale Lecco. Naturalmente vedendo le sue opere ho capito che non sarei mai arrivata al suo livello».
La signora Riva vive nella casa museo in via Ettore Rota, al 2. Il portone d'ingresso si apre su un corridoio lungo e stretto sui cui lati danno le porte delle stanze, che sono smaltate di colori accesi: rosso l'ingresso, giallo il bagno, viola e azzurra le camere da letto. Mentre parla la signora si muove per tutta la casa, che raccoglie le opere di tutti i periodi dell'artista, dalle prime ceramiche alle foglie accartocciate disegnate a matita: «Periodicamente», dice, «andavo su allo studio e portavo via qualcosa. Lui non era geloso: quando aveva finito un lavoro lo dimenticava e passava ad altro». Appena dentro il corridoio appare davanti una enorme "Arfalla" in marmo bianco, e in una camera da letto, su una cassapanca, le "Case degli angeli". La signora Enza ne agguanta una, la capovolge e la illustra: «Come una figura umana una scultura va fatta girare: deve poter essere guardata con tutti valori da tutte le parti». Accanto c'è una scultura, "L'uomo che ride" del 1948. Non porta la firma di Eli Riva, bensì quella di Enza Coratolo, il suo nome da nubile. «Sui quindici anni ho iniziato a sentire l'amore per la scultura e, finito il liceo, ho deciso di frequentare Brera. Quando l'ho conosciuto, prima di innamorarmi di lui mi sono innamorata della sua arte, ma lui non gradiva che mi mettessi per la sua strada. Così - era il 1958 - ho incominciato a dipingere, e quello gli andava bene e mi dava anche dei consigli. Quando, dopo essere andata a dipingere all'aria aperta tornavo a casa, non pensavo che il quadro fosse finito e immaginavo che l'avrei terminato l'indomani, ma lui mi diceva che no, andava bene così».
Passando per il corridoio mostra il proprio ritratto mentre dipinge il paesaggio di Careno: è appeso alla parete detta "sentimentario" perché raccoglie foto, manifesti, pensieri, disegni a matita e a china e ritagli di giornale, tra cui una citazione da "Amore lontano" di Sebastiano Vassalli che la signora Enza è abituata a parafrasare: «L'arte è vita che si paga con la vita». E spiega: «Mio marito lavorava sempre, anche la domenica. O meglio, la domenica aveva bisogno di "rimeditare", quindi andava allo studio a leggere. Il nostro matrimonio si è sostenuto sull'arte - parlavamo sempre di scultura, anche a pranzo, perché la mia opinione gli stava a cuore -, su nostra figlia, e sul fatto che io abbia cucinato per lui mezzogiorno e sera». «Poi», aggiunge quasi ironicamente, «quando decidemmo di dividerci, siamo andati dal medesimo avvocato che sentenziò che la gente decisa a fare sul serio non si sarebbe certo comportata in quel modo».
La signora Enza che, a dispetto dei suoi ottantaquattro anni, si sta accendendo un'altra sigaretta, torna nella sala da pranzo, dove alle pareti colpisce uno dei maestosi cavalli oggetto della mostra del 2009 a Carimate poi riproposta insieme ad alcune sculture anche allo Spazio Pifferi: attualmente le uniche personali di Eli Riva dopo la morte, avvenuta nel febbraio del 2007. Prima di poterle chiedere qualche informazione sui suoi progetti, a bruciapelo, la signora Enza domanda lei per prima: «Cosa dà l'artista alla sua opera?». Poco soddisfatta della risposta, sorride comprensiva e, come ha fatto per trentasette anni insegnando disegno alle medie a ragazzi di provincia, spiega: «L'artista nell'opera mette il suo spirito, che non va mai perso ma viene sempre alla luce, restituendo la sua energia, per non dire la sua fisicità». E continua «Dopo la sua morte, occuparsi dell'opera di mio marito è diventata la mia vita, benché non sia mai stata una buona "manager" neanche nei casi in cui forse avrei dovuto esserlo». Di fatto, ha in corso un'opera di catalogazione per cui inizialmente si era data un tempo ragionevole e che oggi giudica a tre quarti. Mostra gli scatoloni che contengono tutto il materiale ancora da scandagliare: bozze, appunti e lettere, senza contare le cartelle di disegni squadernate sopra un tecnigrafo in una delle camere. Difficile fare un conto approssimativo di quanto tempo ancora si possa impiegare per inventariare solo ciò che è visibile, ma la signora Riva non sembra più interessata ai faldoni perché impegnata nella ricerca di qualcosa che, ripete, deve mostrare. Infilato tra uno degli scatoloni rossi e il bracciolo di una poltrona, la signora finalmente trova ciò che stava cercando: uno dei primi lavori in assoluto di Eli Riva, l'opera di un allievo cesellatore, un imparaticcio. Porgendolo, fa notare qualcosa che nelle fotografie dei cataloghi è difficile distinguere: alcuni buchi nel rame. «Ha lavorato - spiega - fino a rompere la lamina e poi, nonostante fosse capace di farlo, ha deciso di non aggiustarli. È un capolavoro». Il capolavoro di un sedicenne che sarebbe diventato Eli Riva. Qualche anno più tardi, nel settembre 1951, dalle colonne del quotidiano "L'Ordine" Enza Coratolo, non ancora in Riva, avrebbe domandato ai comaschi: «Ma non vi rendete conto che avete uno scultore?», e ancora se lo chiede.
(* Redattrice di "Leitmotiv")

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Eco di Bergamo LA VEDOVA DI ELI RIVA