Giovanni Reale a Parolario:
Dostoevskij come Platone

"I suoi romanzi sono storia di Idee personificate nei vari personaggi"

di Vera Fisogni

Dostoevskij come Platone. Proprio così: c’è tanta filosofia negli scritti dello scrittore russo, autore di capolavori come «Delitto e castigo» e «I Demoni». Lo sostiene il professor Giovanni Reale, massimo studioso della filosofia antica - ne ha scritto decine di volumi e una fondamentale «Storia», sempre ristampata, ad uso delle università - oggi docente alla facoltà di filosofia del San Raffaele. Reale anticipa, con grande chiarezza, a «La Provincia», perché la letteratura di Dostoevskij è al livello dei «Dialoghi» platonici. Non a caso la Bompiani, con la supervisione dello stesso Reale, ha inserito l’autore russo nella collana «I classici dell’Occidente», accanto ad Aristotele, Kant, Hegel e Heidegger. Di questo si discute a Parolario, il 30 agosto, in apertura degli incontri filosofici della kermesse, curati da Alfredo Tomasetta.

Perché, professor Reale, considera Dostoevskij un grande filosofo, oltre che un grande scrittore?

Ho capito questo conversando con la traduttrice russa dei volumi che ho scritto con Dario Antiseri, la quale mi ha spiegato che dai russi Dostoevskij è considerato appunto un filosofo di grande levatura, in modo ben diverso da noi occidentali che lo consideriamo un grande romanziere. Berdiaev, nel suo bel libro «La concezione di Dostoevskij», precisa assi bene questa convinzione: «Forse la filosofia gli ha insegnato poco» (ma si intenda filosofia in senso tecnico e accademico e non in sensi vero e vitale) «ma la filosofia ha molto da imparare da lui». Anzi, Berdiaev soggiunge: «Dostoevskij fu vero filosofo», e addirittura non esita ad affermare che «fu il più grande filosofo russo». I suoi romanzi sono storia di Idee personificate nei vari personaggi. Idee vive nella loro profondità e nella loro complessa dinamica e nella loro forza dirompente. Berdiaev precisa: «L’intera opera di Dostoevskij è la soluzione di un grande problema di Idee [...]. Tutti i suoi eroi sono letteralmente assorbiti dalle idee: ne sono ebbri... Tutto gira attorno a queste “maledette questioni eterne”. Ciò non vuol dire che Dostoevskij abbia scritto romanzi a tesi, per propagandare questa o quella idea. Le idee sono immanenti alla sua arte: egli ne scopre l’esistenza soltanto in modo artistico... Dostoevskij concepisce le idee originali, ma le concepisce sempre in movimento, dinamiche, nel loro tragico destino». Dostoevskij stesso precisa che le Idee sono quella forza che muove il mondo e nel suo «Diario» scrive: «Nella storia ciò che trionfa non sono le masse di milioni di uomini né le forze materiali, che sembrano così forti e irresistibili, né il denaro né la spada né la potenza, ma il pensiero, quasi impercettibile all’inizio, di un uomo che spesso sembra privo di importanza». Io sono profondamente convinto che Dostoevskij fa con i suoi romanzi ciò che Platone ha fatto con i suoi dialoghi, che sono – come i più attenti studiosi hanno riconosciuto – la trasposizione sul piano dialettico delle due grandi forme dell’arte dei suoi tempi, ossia della tragedia e della commedia.

Le riflessioni di Dostoevskij sul nichilismo e sulle anime intorpidite, penso in particolare al romanzo «I Demoni», possono dire qualcosa all’uomo di oggi?

In Italia Luigi Pareyson, nel suo libro "Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa", ha ben recepito e sviluppato l’interpretazione di Dostoevskij come vero grande filosofo. Dostoevskij è molto più di quel grande e finissimo psicologo che molti riconoscono, in quanto si colloca al di sopra della mera analisi dell’animo umano a livello psicologico, «... la sua indagine va oltre, ed è in virtù di questo ulteriore approfondimento che egli è diventato uno dei culmini della filosofia contemporanea e un immancabile punto di riferimento nel dibattito specultativo del mondo d’oggi». Pareyson si spinge addirittura ad affermare che il personaggio Ivan dei «Fratelli Karamazov» esprime la concezione del nichilismo in modo compiuto e perfetto, al punto che meriterebbe un capitolo in qualsiasi manuale di filosofia su questo tema, e scrive: forse più di Nietzsche merita di rappresentare l’anima nichilistica odierna, e scrive. «E infatti dove si può oggi trovare il nichilista tipico, il teorico della negazione bell’e pronto a entrare come un capitolo in una storia della filosofia contemporanea, il filosofo che ha pensato fino in fondo e con estrema coerenza il concetto di nichilismo portandolo alle estrme conseguenze, il pensatore che dalle dottrine più tradizionali ha saputo spremere l’esito più nichilistico e distruttore? La risposta mi sembra lampante: non tanto dalle labirintiche ambiguità di un Nietzsche quanto nella rettilinea e implacabile lucidità di Ivan». Se si leggessero in modo attento i suoi romanzi si capirebbe molto bene ciò che molti si rifiutano di comprendere, ossia che i più grandi mali del secolo scorso e di questo nostro secolo derivano proprio da quel terribile buco nero che si è creato nelle anime degli uomini, che è come una voragine in cui tutto precipita. Capirebbe molto bene Capirebbe molto bene in che senso gli pseudo-valori che vengono sbandierati non sono se non maschere dorate del nulla.

Si ha l’impressione che la filosofia russa sia incentrata sulla letteratura, e che lasci alla poesia molto più spazio che nell’Europa. È così?
Questo è una caratteristica peculiare dell’animo russo, ed è una caratteristica che io apprezzo  molto.  Penso infatti che sia assurdo ritenere che la sola ragione in senso illuministico o addirittura scientistico sia la fonte della verità Dostoevskij faceva dire a un suo personaggio: «La ragione, signori, è una bella cosa, è indiscutibile, ma la ragione è solo la ragione e soddisfa soltanto la capacità raziocinativa dell’uomo, mentre il volere è è la manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana...». Questo particolare modo si sentire dei Russi fa quindi comprendere come mai, per esempio, molti di loro preferiscono Schelling a Hegel, o la ragione per cui fino alla caduta del muro, del pensiero contemporaneo italiano conoscessero solo Croce, di cui apprezzavano molto l’«Estetica». Del resto la loro grande arte dell’icona è una prova  eloquente della verità di ciò che stiamo dicendo. Si tratta infatti di un "pensare per immagini" assai profondo. Le icone sono come Idee platoniche rappresentate in modo fantastico-poetico.

In che senso e in che misura il pensiero cristiano ha influito su Dostoevskij?

Dostoevskij è giunto alla fede e l’ha rinsaldata proprio passando attraverso il nichilismo e indagando la autodistruzione di esso. La fede (la vera fede) presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. Dostoevskij scrive: «Vi dirò che sono figlio del secolo, figlio dell’incredulità e del dubbio: lo sono oggi e lo sarò fino alla tomba. Quanto atroci tormenti mi costa questa sete di credere, tanto più forte nella mia anima quanto più trovo in me argomenti contrari». E in risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 scriveva: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità». Credo che questa sia la risposta più forte alla domanda che lei mi ha fatto.



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