Arturo Brachetti: «Le stanze
della mia fantasia»

Il grande trasformista racconta in questa intervista il suo spettacolo “Solo”, che porterà al Sociale di Como il 5 e 6 dicembre

Uno? Di certo non nessuno. Centomila? Troppi, ma anche sessanta non sono pochi. E non sono di meno i personaggi che sfileranno sul palco del Teatro Sociale giovedì 5 e venerdì 6 dicembre alle 20.30 in “Solo - The legend of quick-change”, organizzato in collaborazione con MyNina Spettacoli (biglietti da 26 euro). Protagonista assoluto Arturo Brachetti, attore, regista, fantasista, funambolico artefice di innumerevoli e fulminee trasformazioni che lo vedono incarnare in pochi istanti i personaggi più differenti e imprevedibili. «Sul palco ci sarà una casetta in miniatura – anticipa – ed entrando in ogni stanza passerò da una figura all’altra. La casa, naturalmente, è una metafora. Rappresenta i ricordi, il passato, anche le nostre paure».

Come sono suddivise queste stanze?

Una è dedicata all’infanzia, al mondo delle favole, così diventerò Cenerentola e Biancaneve, Aladino e Peter Pan. Quest’ultimo è forse quello che più mi rappresenta, perché io sono un Peter Pan di 62 anni. Anzi, sono un Peter quindicenne intrappolato nel corpo di un sessantaduenne.

Non troppo intrappolato, si direbbe...

Il teatro mi permette di cambiare, ma in questo spettacolo ho un contraltare, un’ombra, che gode di vita propria, come quella di Peter Pan, se ricordate, e che rappresenta quell’altro lato di me che, penso, tutti abbiamo. Un’ombra che ti tiene per terra mentre tu vorresti volare.

E dove si vola nelle altre stanze?

In quella della musica incontriamo Freddie Mercury e Pavarotti, Michael Jackson e Madonna. Poi c’è quella della televisione con Batman, la Signora in giallo, i personaggi di Star Trek e di altre trasmissioni che guardavo da ragazzino.

Una casa piena di vita, insomma.

Rispecchia in parte la mia casa a Torino. È incredibile: l’ho riempita di ogni sorta di trovata. A volte vado a casa di colleghi attori e sembra di entrare in un’abitazione qualsiasi. Da me no: ci sono passaggi segreti, specchi parlanti, muri scorrevoli, fontane d’acqua luminosa. È una casa che mi rispecchia. Un delirio? Forse, ma quando mi metto in scena io sono razionale, analizzo me stesso, le mie manie e le mie idiosincrasie e... c’è qualcuno felice di vedermelo fare.

Più di “qualcuno”: Brachetti ha successo in tutto il mondo.

Grazie. La parte più divertente è “leggere” i pubblici differenti. Quelli nordici, ad esempio, che sembrano così compassati, in teatro si scatenano, si vogliono divertire. Mentre il pubblico più esigente è quello del nostro Sud.

Come mai?

Perché a Napoli tutto è teatro. Ed è logico che quando si siedono in platea vogliano assistere a qualcosa che supera le loro capacità di essere bravi attori nella vita.

Nello spettacolo c’è tantissima tecnologia: videomapping, laser, proiezioni...

Sì, c’è letteralmente una sorpresa ogni venti secondi. Intanto la mia ombra, che si chiama Kevin Michael Moore, interagisce con me. Alla fine si arriva a comprendere che tutta questa girandola di personaggi e di situazioni non è fine a se stessa. Il continuo binomio tra luce e ombra, tra questo Peter che vuole restare bimbo per sempre e una realtà che ti tiene terra terra accompagna tutti noi. Ed è una guerra interiore che non può avere vincitori, finché non si arriva all’unica soluzione possibile.

E qual è?

Riconoscere che siamo entrambe le cose: in parte ombra e in parte luce. È bello sognare di quando in quando, io faccio un mestiere meraviglioso che mi consente di farlo spesso. Poi, ad esempio, per portare in scena tutto questo c’è un lunghissimo lavoro di preparazione che è arrivato a coinvolgere una sessantina di persone. Ci sono tantissimi fattori da studiare, dalle luci, alle musiche, agli attrezzi scenici..

Ma... anche l’ombra ha il ciuffo?

Certo, altrimenti non sarebbe credibile!

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