Il congedo di Neri, maestro zen della poesia italiana

È scomparso a 95 anni scrivendo fino all’ultimo. Nelle sue opere sempre più presente la natia Erba, microcosmo della storia del ’900 e dei sentimenti umani

È spirato nella notte tra martedì e mercoledì un grande maestro della poesia italiana, Giampiero Neri, nella sua casa di Milano, all’età di 95 anni. Era nato a Erba il 7 aprile del 1927. I funerali si terranno venerdì 17 febbraio alle 14.45 a Milano nella chiesa di San Silvestro e Martino, in viale Lazio 19, poi riposerà nel cimitero di Arcellasco accanto alla moglie

«Che la seconda parte della vita sia occupata a contraddire la prima è di comune esperienza, per quanto spiacevole. Si salva poco di quello che avevamo pensato, forse niente. Cosa rimane allora del tempo passato? Si dice di un maestro zen che, prossimo a morire, aveva invitato i discepoli nel suo giardino e rivolto a loro, sentendo gli uccelli cinguettare sui rami, aveva detto: “È tutto questo e nient’altro…”».

La casa

Cinguettano gli uccelli sugli alberi di piazza Libia a Milano, ma dietro il maestoso portone di legno al civico 12 il cuore di Giampiero Neri non batte più. Si è arrestato ieri notte, sopraffatto da un male incurabile, che ha fermato il suo orologio terreno poco prima dei 96 anni.

La seconda parte della sua vita è stata lunga e scandita dalla poesia. A 49 anni pubblicò la prima raccolta, “L’aspetto occidentale del vestito” (Guanda, 1978), anticipata da alcuni testi usciti in riviste (su “Il Corpo” nel 1964 e “L’Almanacco dello Specchio” nel ’71). Nel 2017, quando diede alle stampe “Via provinciale” per Garzanti, il libro in cui è contenuta anche la prosa poetica sul “maestro zen”, annunciò che sarebbe stata la sua ultima raccolta. Pareva l’approdo di un percorso articolato in soli sei volumi - “Liceo” (Guanda, 1986), “Dallo stesso luogo” (Coliseum, 1992), “Teatro naturale” (Mondadori, 1998), “Armi e mestieri” (Mondadori, 2004), “Paesaggi inospiti” (Mondadori, 2009) e “Il professor Fumagalli e altre figure” (Mondadori, 2012) - come del resto si confà a un uomo che ha sempre misurato le parole come insegnano i saggi d’Oriente da lui amati e le ha scolpite sulla carta cercando l’essenzialità dei non meno stimati architetti razionalisti, in particolare Giuseppe Terragni, sulle cui ginocchia si sedette da bambino, quando frequentava Erba e la casa paterna di Neri, durante la costruzione del Monumento ai Caduti.

Proprio il microcosmo della natia Erba, cittadina cui si giunge, per l’appunto, attraverso la “via provinciale”, aveva invece in serbo ancora tante sorprese per il poeta e per noi lettori. È, infatti, al centro di un’ultima, fulgida stagione creativa concentrata in quelli che tanti altri, per via del Covid, hanno ritenuto “anni perduti”. Sono legate alla Brianza della sua gioventù tre raccolte uscite per Ares a distanza ravvicinata - “Da un paese vicino” (2020), “Un difficile viaggio” (2022) e “Un insegnante di provincia” (2022) - cui se ne aggiungerà una quarta, “Utopie”, il prossimo aprile, come si dice più estesamente nel box qui sotto.

Orizzonti letterari

Nel mezzo della trilogia erbese si è inserita l’“Antologia personale” uscita per Garzanti (2022) e, soprattutto, la raccolta di inediti “Piazza Libia” (2021), non a caso l’altro microcosmo del poeta, quella sorta di “foresta urbana”, per usare un’espressione oggi di moda, dove Neri ha trovato il suo spazio congeniale nella metropoli altrimenti straniante per chi, come lui, era cresciuto in paese, dove le persone si chiamavano con i soprannomi. Piazza Libia (fuori dalla finestra) ed Erba (in alcune immagini appese alle pareti della sua stanza colme di quadri altamente significanti) ha voluto che fossero i suoi ultimi orizzonti, sostenuto in questo dai figli Elena e Ugo, e dai tanti amici che sono andati a trovarlo nelle scorse settimane, ricevendo in dono da lui frasi memorabili, come quelle del professor Fumagalli che ha illuminato gli anni della sua formazione, e la plaquette “Adolescenza”, anticipazione della nuova silloge “Utopie”, di cui avevamo scritto su queste pagine il 23 gennaio.

Oggi viene istintivo aggrapparsi a quegli ultimi versi: «Non so come, eravamo diventati amici. / A sedici anni l’amicizia è qualcosa di serio. / Mi scriveva anche, ci eravamo dati dei soprannomi. / Il mio era Lampirius, per le mie conoscenze entomologiche. / In casa ne avevano approfittato per riderne tra loro. / Mio padre deformava il nome in dialetto: “Lampadari”». Qui si dovrebbe dire, ancora una volta, del padre Ugo Pontiggia ucciso a Erba nel novembre del 1943, in uno dei primi atti della guerra civile, del destino che costrinse Giampiero a impiegarsi in banca (“non mi fu matrigna”, diceva, poiché lì conobbe la moglie Annamaria Bianchi, sposata nel 1952, e anche l’ispirazione poetica)... E poi della scelta dello pseudonimo Neri, in omaggio all’omonima fazione dei Guelfi fiorentini e per distinguersi dal fratello scrittore Giuseppe Pontiggia, scomparso nel 2003. La parentesi su questa eccezionale famiglia non può non includere anche il cugino scenografo Ezio Frigerio, scomparso nel 2022 a 91 anni.

Ma ora, nel momento della perdita bruciante, urge connettersi con Neri, non più “maestro in ombra”, come lo definì Maurizio Cucchi, ma “maestro zen”. E lo ritroviamo tra gli alberi di piazza Libia, che contò uno per uno (sono 200) o risalendo la scalinata del Terragni a Erba. “Gh’è ché ’l Giampiero”, sembra di sentir dire da una voce femminile che si esibì come attrice nel contiguo Teatro Licinium, l’amatissima madre del poeta.

È spirato nella notte tra martedì e mercoledì un grande maestro della poesia italiana, Giampiero Neri, nella sua casa di Milano, all’età di 95 anni. Era nato a Erba il 7 aprile del 1927.
I funerali si terranno domani
a Milano nella chiesa
di San Silvestro e Martino,
poi riposerà nel cimitero di Arcellasco accanto alla moglie

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