Il pagellone di Sanremo
Cristicchi e Silvestri
due perle nella mediocrità

Alessio Brunialti dà i voti ai 24 cantanti in gara al Festival: Einar e il duo D’Angelo-Core i più imbarazzanti. Il favorito Ultimo? Banalità in puro stile sanremese

La gara, sul palco del Teatro Ariston, entra nel vivo. Ecco le nostre pagelle dopo la prima esibizione di tutti i cantanti di questa sessantanovesima edizione del festival di Sanremo.

ACHILLE LAURO – “Rolls Royce” è un’elettro rock’n’roll che a qualcuno è piaciuto tantissimo. Il problema sta tutto nell’interpretazione mono-tonale: un’unica nota e non azzeccata. Ma è un talento: non è da tutti stonare con l’autotune. 6

ANNA TATANGELO – “Le nostre anime di notte” è una di quelle canzoni d’amore dove il testo sembra essere un male necessario da farcire di frasi fatte. Poco incisivo. 5

ARISA – “Mi sento bene” è double face: parte ballad e dopo trenta secondi diventa dance, un po’ Giuni Russo (sì), un po’ Ricchi e Poveri (oh, no). Resta impressa l’ardita rima “cassetti / poveretti”. Bella prova vocale 6

BOOMDABASH – “Per un milione” delude. Se si fossero tenuti “Non ti dico no” per il Festival avrebbero fatto un favore a loro stessi (e anche alla Berté), invece arrivano all’Ariston con una cantilena senza lode. 5

DANIELE SILVESTRI – “Argentovivo” è il primo pezzo notevole di Sanremo 69 e il fatto che, sostanzialmente, sia un testo recitato la dice lunga sullo spessore musicale degli altri. Non si capisce perché non sia considerato un duetto con Rancore. 8

EINAR – “Parole nuove” è un’espressione che usava Modugno in “Piove”, 60 anni fa. “Scrivo solo canzoni”, canta, e invece il pezzo è di altri tre autori. Davvero sanremese, in salsa post talent. 4

ENRICO NIGIOTTI – “Nonno Hollywood” è un altro pezzo in cui l’interprete (e unico autore: mezzo punto in più) chiacchiera per tutta la strofa. “Amarcord” ricco di stereotipi. Ci vuole tutto il coro per nascondere l’intonazione traballante. 5

EX-OTAGO – “Solo una canzone” sembra un pezzo di Jovanotti, zeppola compresa. Chi li ama li sosterrà, ma in cuor suo sa che hanno fatto - e sanno fare - di meglio. 6

FEDERICA CARTA E SHADE – “Senza farlo apposta” ha tutti gli accenti sbagliati (“monosillabì”? “monologhì”?) e potrebbe essere stata scritta e interpretata da chiunque per chiunque. Loro sono chiunque. 5

FRANCESCO RENGA – “Aspetto che torni” l’audio, si potrebbe dire. Il primo a cantare viene penalizzato da un problema tecnico che lo ha reso incomprensibile. Ma è un altro brano verboso che non vede l’ora di arrivare al ritornello. Fiacco 6

GHEMON – “Rose viola” punta sulla voce che non è sicuramente il superpotere dell’artista avellinese. All’Ariston il ritornello ha traballato, ma è certo che il testo, indirizzato agli adolescenti in amore, piacerà. 5

IL VOLO – “Musica che resta” soffre del difetto generalizzato di questo Sanremo: nessuno sembra più voler costruire una strofa cantata. Che senso ha far parlare due tenori su tre? Il ritornellone non è abbastanza nazional popolare. 5

IRAMA – “La ragazza con il cuore di latta” affronta il tema scottante della violenza tra le mura domestiche. Questo unito al successo capitalizzato l’anno scorso daranno a questo brano una marcia in più al televoto. 6 (e 0 alla regia che dimentica di riprendere il coro Gospel)

LOREDANA BERTÉ – “Cosa ti aspetti da me” è costruita per rilanciare l’immagine sanremese di un’artista da cui, parafrasando il titolo, non si sa mai cosa aspettarsi. Purtroppo la musica non convince. 6

MAHMOOD – “Soldi” è un “trappop” che dovrebbe aver poco a che vedere con l’Ariston. Paradossalmente risulta più sanremese di tanti altri pezzi in gara. È la trap per chi non ascolta (e non sa cos’è) la trap. 6

MOTTA – “Dov’è l’Italia” è una delle delusioni più grandi. Perché Motta è stimato e, anche lui, ha fatto di assai meglio. Poi l’emozione lo ha trascinato in una performance un po’ traballante. Ma il ritornello si imprime. 7

NEGRITA – “I ragazzi stanno bene” e lo dimostrano con una canzone proposta con consumata scioltezza e interpretata come se manco fossero in gara. Forse perché hanno intuito di non essere, realmente, in gara. 6

NEK – “Mi farò trovare pronto”, deve essersi detto, aspettando una nuova chiamata all’Ariston. Sì, perché a Nek la sconftta di “Fatti avanti amore” brucia ancora. Ma qui non c’è più quella melodia e l’occasione è sfumata. 5

NINO D’ANGELO E LIVIO CORE – “Un’altra luce” non si è accesa durante la prima serata. Se Core ci mette “anema” e se stesso, Nino sembra voler sabotare il brano con vocalizzi che si giustificano solo ipotizzando che avesse un’altra canzone nell’auricolare. 3

PAOLA TURCI – “L’ultimo ostacolo” è un ibrido pop rock che resta in bilico fra i due mondi. Undicesima canzone portata al festival, non è una delle più emozionanti. Piace molto la voce, arrochita. 6

PATTY PRAVO CON BRIGA – “Un po’ come la vita” parte sfortunata, con un lungo attimo di nulla che resta inspiegato. Sembra che cantino due pezzi diversi, anche quando cantano assieme e lei sembra un’ospite di se stessa. 5

SIMONE CRISTICCHI – “Abbi cura di me” è l’altra prestazione notevole di questo Sanremo. Tecnicamente è più una poesia recitata che una canzone, ma è una bella poesia. Premio della critica e per il miglior testo già in tasca. 8

THE ZEN CIRCUS – “L’amore è una dittatura”, ma Sanremo non è una villeggiatura. Più bella la coreografia che la canzone e sapendo di cosa sono capaci Appino e gli altri spiace veramente. 5

ULTIMO – “I tuoi particolari” ha tutte le carte in regola e sembra dare ragione a chi lo vedeva subito tra i favoriti. Niente di eccezionale, ma è un pezzo pop che punta ai cuori giovani utilizzando stilemi ritriti, sempre validi. 6

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