L’inedito Mark Twain
«Le interviste? Spazzatura»

Un documento pubblicato per la prima volta in Italia da La Provincia

In una lettera il grande scrittore distrugge un mito giornalistico

di Gian Paolo Serino

Un inedito assoluto di Mark Twain: lo presento qui, per la prima volta in Italia, nella traduzione di Michele Crescenzo. Un documento che rivela i lati oscuri, ma anche più ironici, del grande scrittore americano che da oltre un secolo continua a essere tra gli autori più letti al mondo.

Molti suoi romanzi sono entrati nell’immaginario collettivo, basti citare “Le avventure di Tom Sawyer” (1876) o “Le avventure di Huckleberry Finn” 1884), anche se Twain non è stato soltanto uno scrittore per ragazzi, ma un grandissimo romanziere e fine intellettuale. William Faulkner lo definì «il più grande scrittore americano»”, mentre Ernest Hemingway, solitamente restio ai complimenti, scrive che «tutta la letteratura moderna statunitense viene da Huckleberry Finn... tutti gli scritti Americani derivano da quello. Non c’era niente prima. Non c’era stato niente di così buono in precedenza» (dal primo capitolo di “Verdi colline d’Africa”, Mondadori).

Il 2014 anche in Italia è stato l’anno editoriale di Twain -che nella vita prima di diventare scrittore fu apprendista tipografo, pilota di battelli a vapore sul Mississippi, cercatore d’oro e d’argento- con la traduzione di titoli importanti come “Età dell’oro”, romanzo sull’inesorabile sviluppo economico americano di fine Ottocento ( Elliot editore) e la sua “Autobiografia” che in America ha venduto oltre 400 mila copie rimanendo 42 settimane nelle classifica di vendita.

Pubblicata in Italia da Donzelli è un’autobiografia «da pubblicare cent’anni dopo la morte secondo la volontà dell’autore» perché, come spiegò Twain nel 1899: «Un libro destinato a essere pubblicato un secolo dopo dà allo scrittore una libertà altrimenti impossibile. In queste condizioni puoi descrivere un uomo esattamente come l’hai conosciuto, senza timore di ferire i suoi sentimenti, o quelli dei figli o dei nipoti».

Basti questa frase per intuire il valore dello scrittore e del libro.

Una breve premessa prima di lasciarvi alla grandezza (che deve essere ricercata anche nelle più piccole sfumature per comprenderla al meglio) di Twain. Il giornalista Edward Bok - poco prima di diventare direttore del “Ladies Home Journal” (il settimanale americano femminile più venduto negli Usa) e di vincere il Premio Pulitzer per la Saggistica- incontrò Twain nella sua casa per un’intervista con l’intento di pubblicarla in un suo articolo.

L’intervista andò bene: il giorno dopo Bok scrisse il pezzo e ne inviò una copia a Twain per l’approvazione. Quell’articolo non è mai apparso in stampa sino a oggi. Bok ritrovò la seguente lettera di Twain che è un modernissimo trattato sull’inutilità delle interviste. Soprattutto in questi tempi in cui sembra prevalere la logica delle interviste. Dove tutti tutti intervistano tutti. Buona lettura!

di Mark Twain

Mio caro signor Bok,

No e no. È come la maggior parte delle interviste, solo chiacchiere prive di valore.

Per tante buone ragioni, un’ “intervista” è un assurdo come usare una barca per terra o su un carro sull’acqua. Il discorso parlato è una cosa e quello scritto un’altra. La stampa è il veicolo adatto per quest’ultimo, ma non è per il primo. Nel momento esatto in cui il linguaggio verbale viene messo in stampa si riconosce che non è propriamente quello che si era detto. Si percepisce che manca qualcosa di immenso. È scomparsa la sua anima. Non si hai più niente, solo una carcassa morta tra le mani. Colore, gesticolarità, le sfumature della voce, la risata, il sorriso, il calore del corpo, la grazia, la cordialità e il fascino. Non è rimasta nulla, solo un cadavere pallido, rigido e ripugnante.

Sono quasi sempre così le interviste. Gli intervistatori raramente provano a raccontare anche come si danno le riposte. La loro aurora. Spesso si limitano a fare un osservazione nuda dei fatti e si fermano lì. Quando si scrive per la stampa, la metodologia è molto diversa. Si seguono le forme e il lettore capisce ciò che lo scrittore sta cercando di trasmettere. Anche durante i dialoghi ad esempio: “Se avesse osato dire che la cosa in mia presenza”, ha detto Alfred, assumendo un atteggiamento eroico finto, e gettando uno sguardo amplio sulla società, “sangue sarebbe fluito.”

“Se avesse osato dire che la cosa in mia presenza”, ha detto l’Acuto, con quel suo occhio che ha fermato più di un cuore a causa di quella frana. “sangue sarebbe fluito.”

“Se avesse osato dire che la cosa in mia presenza”, ha detto il misterioso, con vapore dalla lingua e il pallore sulle labbra, “sangue sarebbe fluito.”

Il romanziere nella parola scritta trasmette il significato che lui vuole - e spesso sovraccarica - quasi ogni espressione dei suoi personaggi con spiegazioni e interpretazioni. Ma la stampa è un veicolo troppo povero per le interviste, per il dialogo. Comporta confusione al lettore, non istruzione.

Ora, nella tua intervista - certamente molto accurata – tu hai fissato le frasi proprio come le ho pronunciate. Ma non avete scritto nemmeno una parola per spiegarla. Pertanto, nessun lettore può eventualmente sapere quando sono stato serio o dove stavo scherzando. Questa didascalia di una conversazione non ha alcun valore. Può trasmettere molti significati al lettore, ma mai quello giusto. Per aggiungere l’ interpretazioni corretta sarebbe necessaria un’arte così alta e bella e difficile che a nessuno sarebbe mai consentito di sprecarla con una intervista.

No, risparmia il lettore. Lasciare l’intera intervista fuori dal giornale. È spazzatura. Eviterei di parlare se potessi farlo solo nel sonno.

Se si desidera stampare qualcosa, stampa pure questa lettera che può avere un certo valore, perché può spiegare ad un lettore perché - nelle interviste - uomini sembrano parlare come non parlerebbero mai tra loro.

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