Mille e due notti: “La protesta delle bambine”. Ecco il racconto vincitore del concorso lanciato tra gli studenti comaschi

Video La novella che ha vinto il concorso delle scuole comasche è stata scritta da Eleonora Russo, del liceo classico Volta: nella videointervista contenuta in questo articolo la giovane scrittrice si racconta. Questa sera, martedì, spettacolo e premiazione al Teatro Sociale

Sherazade, la notte dopo la dichiarazione d’affetto del sovrano, volle narrargli, per la milleduesima volta, una nuova novella.

«Ma come!» esclamò il marito. «Ve l’ho già detto, la notte scorsa. Ora non ce n’è più alcun bisogno. Voi siete buona, intelligente e onesta: nulla avete da temere riguardo ai miei sentimenti e al mio rispetto nei vostri riguardi».

«Non ne dubito, sire» ribatté lei, «eppure, io vorrei indurvi a pensare. Non credo, povera me, che siate pienamente consapevole della gravità delle vostre passate, terribili azioni. Ora dovreste piangere di dolore! Ogni donna che avete ucciso racchiudeva in sé uno scrigno di umana dignità».

Il sovrano sospirò. Sembrava rassegnato e deliziato insieme. «Tu sei l’eccezione, mia bella Sherazade. Le altre non sono come le dipingi. Sono animaletti teneri ma decisamente stupidi. E alla stupidità non si accompagna certo la dignità».

Intervista a Eleonora Russo, autrice del racconto “La rivolta delle bambine”. Video di Martina Toppi

La moglie lo interruppe con un gesto della mano. Respirò profondamente, socchiuse le palpebre e disse: «Chiudete gli occhi, sire. Immaginate, disegnate nelle mente ciò che sto per raccontare». Pronunciate queste parole, cadde nella stanza un silenzio di tomba. Tutto, attorno a loro, si fece imponente e splendido, come gli istanti che seguono la fine di un violento temporale. Solo allora Sherazade, solenne e altera, cominciò a narrare.

Abitavano, in un villaggio molto lontano da Bagdad, gli ultimi due figlioletti di un vecchio pastore. Il maschio, curioso e vivace, non sapeva tenere a freno la lingua, ma la sua intelligenza, rara e preziosa, aveva qualcosa di brillante che faceva innamorare le persone di lui. La femmina, bambina pallida e snella, aveva qualche anno di meno. All’età di otto anni non aveva ancora pronunciato alcuna parola, e da tempo la madre si chiedeva che cosa la gente dicesse di sua figlia ritardata. Nessuno riusciva a decifrare il suo volto. Non si capiva bene se fosse contenta, triste, alterata, annoiata, o semplicemente se fosse tanto stupida da non poter provare nulla. Come un ortaggio.

Un giorno, quando il maschio era a cavallo tra gli anni della fanciullezza e l’età adulta, il fratello del padrone, mercante, tornò al villaggio dopo una lunga assenza che l’aveva spinto lontano. Lo zio non aveva figli a cui lasciare l’attività. Stupito dall’arguzia del nipote, chiese al padre di potergli insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Di insegnargli cioè il mestiere del commerciante. Gli venne risposto, con un’alzata di spalle, di fare come più gli piaceva, chiaramente tutto a sue spese.

Il ragazzino fu mandato a studiare nella più vicina città a casa di un erudito. Ci volevano due ore per scendere a valle e due per risalire, ma lo zio insisteva, e alzava le mani se il nipote non si presentava a lezione o trascurava i compiti. In breve tempo, il maestro comunicò entusiasta risultati sorprendenti. Sovente il maestro gli consegnava lunghi elenchi di parole difficili da imparare a memoria, divise in categorie di appartenenza. A volte avrebbe fatto molto più in fretta se qualcuno l’avesse aiutato, ma lo zio era partito di nuovo e in casa nessun altro sapeva leggere. Un giorno che si lamentava di questo fatto, la sorella prese dalle mani di lui la pergamena e lo guardò fisso. Il fratello rise. Con molta tenerezza, senza cattiveria, sospirò: «Credo che tu sia troppo stupida per farlo».

Una volta ogni tanto, l’erudito in persona si presentava al villaggio e discuteva con gli adulti e l’alunno della possibilità per quest’ultimo di tentare l’accesso a una rinomata Scuola di Bagdad, dove i sapienti avrebbero fatto molto più di quanto lui, intellettuale di provincia, avesse potuto nonostante tutta la buona volontà del mondo. Il ragazzo, però, non voleva saperne. Un giorno, disse: «Ho già imparato tutto ciò che dovevo. Ora posso iniziare a sporcarmi le mani con un mestiere».

«Non ti ho insegnato proprio nulla, in fin dei conti» ribatté il maestro, rosso di collera. «Senza istruzione rimarrai sempre prigioniero del mondo e di te stesso».

«Io sono libero, maestro».

L’erudito storse la bocca. «No, ragazzo. Da grande sarai un pastore povero come tuo padre. I tuoi figli saranno ignoranti come lui e i loro figli pure». Guardandolo fisso in volto, indicò la bambina. «Se non mi ascolti, sarai per tutta la vita tanto schiavo quanto lo è lei».

«Mia sorella è forse schiava?» urlò il ragazzo, in preda alla rabbia. L’uomo sorrise.

«Se ne accorge lei stessa.» Calò il silenzio più totale. Lui sembrava assorto.

«Senti un po’ questa» aggiunse poi, rivolto a lei. «Se sai che venti arance costano mezzo soldo, quante arance puoi comprare con un quarto di soldo? Io sono il venditore. Prendi dal cesto accanto a me le arance».

Lei inclinò la testa di lato. Si avvicinò al cesto accanto all’erudito e iniziò a prendere le arance. Una, due, tre. Alla quarta, l’uomo la fermò. «Basta così! Con un quarto di soldo puoi comprare solo tre arance». Lei contemplava i frutti nella sua mano. Alla fine, annuì decisa in segno di approvazione.

«E invece dovevi prenderne di più». Sul viso dell’erudito comparve un sorriso triste. «È questo il punto, mio alunno. La poveretta non ha gli strumenti per non farsi imbrogliare. E farsi imbrogliare vuol dire rimanere schiacciati e perire. Non essere così anche tu che puoi evitarlo. Dunque, studia, ti prego di ciò».

Lui annuì. Lei non fece cenno alcuno, ma gli occhi le si illuminarono, per la prima volta, di qualcosa di molto vicino alla vita. Una luce splendida e consapevole.

Il ragazzo, dopo lo spiacevole episodio, fu costretto a non tirarsi indietro, e iniziò a studiare sodo per mettersi in pari con i discepoli della Scuola di Bagdad. Una mattina, la ragazzina svegliò il fratello con uno scossone e, mettendo una manina sul cuore, quando sapeva che nessun altro avrebbe potuto sentirla, pronunciò piano poche parole scandite con dolcezza: «Portami alla Scuola con te».

Lui sobbalzò. «Allora è vero che sai parlare! Perché mai hai nascosto la voce così a lungo?» Si alzò e si stropicciò gli occhi addormentati. «Comunque, la Scuola è solo per i maschi».

Lei non rispose, se ne andò e basta. Il giorno dopo, disse: «Non voglio farmi imbrogliare».

«Cosa dici?»

«Non voglio rimanere schiacciata e perire. Lo dice il maestro. Voglio andare alla Scuola».

«Non si può. Le femmine sono state fatte per altre cose. Studiare sarebbe troppo faticoso per te». Spingendola fuori a suon di rimproveri, le ingiunse piuttosto di preparargli il bagno, e intanto pure da mangiare. Nessuno la sentì più pronunciare verbo per lungo tempo.

Una mattina, il ragazzo fu svegliato dalle grida della madre che picchiava ferocemente la figlia. Diceva che questa avesse aperto la bocca, per la prima volta in vita sua, solo per insultare colei che l’aveva messa al mondo. La bambina, in effetti, continuava a ripetere tra i singhiozzi che, se non la avessero mandata a Bagdad con il fratello, sarebbero stati dei senza cuore. Alla fine, la donna si trovò stanca e smise di infierire su di lei. La figlia ai rialzò quasi subito, smise di piangere e sgattaiolò fuori.

All’inizio, era praticamente sola. Si metteva fuori con quattro o cinque compagne che non capivano, ma si divertivano a creare quella catena umana di manine intrecciate attorno al pozzo. Quando le donne venivano a prendere l’acqua, se le ritrovavano tra i piedi e urlavano loro di spostarsi. Quelle strillavano di no, e la capobanda, per cercare di coinvolgere le altre, che in realtà non capivano, diceva: «Scuola per noi, o acqua per nessuno». E poi, lo stupore delle donne: «Allora ce l’ha la lingua! Pensa te!»

Non demordeva. E faceva ripetere alle compagne il motto. Tutte insieme. Successivamente, nacque un piccolo seguito di bambine più motivate, che avevano iniziato a capire. E proprio al grido di «Scuola per noi, o acqua per nessuno», si attirarono l’attenzione degli adulti. Prima quella delle donne, stanche di dover sempre tirare calci a destra e manca per attingere al pozzo. Poi quella degli uomini, stufi di quelle mogli isteriche per un goccio d’acqua e di quelle figlie scavezzacollo che le esaurivano. Alla fine, le bambine divennero tante, ma così tante che non si parlava d’altro - addirittura nella città dell’erudito si discuteva se mandare o no qualcuno a cercare informazioni: ed erano tante un po’ per passaparola, un po’ per ammazzare il tempo sempre uguale, un po’ per andare contro le regole; un po’ perché in tutte era scaturita una voglia magica e irrazionale di essere qualcuno; e forse anche perché, in fondo, provavano il desiderio di conquistarsi quella cosa nuova e proibita, la Scuola, che saltava di bocca in bocca guizzando come un pesce fuor d’acqua.

Sherazade smise di narrare. «Sire» disse, «cosa pensate possa essere successo dopo?»

«Gli uomini avranno forse picchiato le figlie fino a farle tornare alla ragione?»

La moglie scosse il capo. «Niente affatto, marito. La voce della protesta delle bambine giunse fino a Bagdad. Il sultano in persona volle vedere con i suoi occhi quella catena, di certo fragile, ma che nessuno, nonostante le urla, le botte e la paura, era riuscito a spezzare. Sappiamo che le bambine rimasero con le dita intrecciate. Non si conosce il seguito. Non sapremo mai se ottennero ciò che chiedevano, o se la protesta fu soffocata, o se furono derise e basta. Ma non è importante. Ciò che conta è la forza tenace con cui ognuna rimase al proprio posto, con cui ognuna, anche se all’inizio incerta, si fidò dell’altra e lottò con l’altra, per l’altra e per se stessa. Questa, sire, è la preziosità che avete ucciso insieme con le vostre povere mogli. Le donne non sono gli animaletti teneri ma stupidi che avete a lungo creduto. Prendete la nostra piccola protagonista: non ha una voce, dicevano. Ma non era vero. L’aveva semplicemente conservata per quando ce ne fosse stato bisogno».

Pubblichiamo il racconto
“La protesta della bambine”
di Eleonora Russo (nella foto), classe 3aB del liceo classico Volta, vincitrice del concorso “La novella della 1002esima notte” bandito dall’Istituto Magistri Cumacini per gli alunni delle superiori lariane.
È stato scelto tra 25 elaborati da una giuria di docenti di diversi istituti presieduta dalla giornalista Carla Colmegna. Oggi, martedì 18 aprile, alle 20.30 la premiazione al Teatro Sociale, nell’ambito de “Lo spettacolo delle Mille e una notte. Lettura musica e riflessioni sulla condizione della donna in Medio Oriente” . Alla serata interverrà anche la scrittrice italo-siriana Asmae Dachan.

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