Poetessa a vanvera
Alda Merini
e il mito del nulla

Il critico letterario Gian Paolo Serino osa l’inosabile:
la stroncatura della madrina degli internauti,
decantata musa degli insopportabili “piccoli Merini”

Alda Merini? Una poetessa a vanvera. Le case editrici continuano a celebrarla puntualmente con raccolte, plaquette, inediti provenienti da ogni dove: appuntati di suo pugno, dettati a voce de visu o addirittura al telefono: ci sono più possessori di poesie inedite di Alda Merini che suoi veri lettori.

Alda Merini è la poetessa più decantata della pagina scritta e più cantata su internet e sui social network: è diventata come Jim Morrison, Charles Bukowski o Oscar Wilde: ogni frase che nessuno sa a chi attribuire la attribuiscono a lei.

Così, incuriosito dal fenomeno sempre più dilagante di questa poetessa “regina degli ignoranti”, una sorta di Celentano non della via Gluck ma dei Navigli, facendo delle ricerche sul web sono rimasto ancora più sorpreso. Cercando se qualcuno avesse mai stroncato in precedenza Alda Merini su Google, motore di ricerca che ha sostituito oggi la nostra memoria cerebrale, ho inserito parole chiave in un crescendo di curiosità emotiva poi trasformata in sorpresa.

Le riceRCHE

Cerco “Alda Merini stroncatura”: nessuna traccia, se non un suo aforisma; cerco “Merini stroncata” e trovo decine di articoli sui suoi funerali - celebrati in Duomo a Milano come quelli di Mike Bongiorno. In un crescendo di curiosità diventato accanimento terapeutico – non verso la Merini ma verso me stesso- ho preso coraggio e sempre più deciso sono arrivato al punto di scrivere in sequenza esatta: “Merini distrutta”, “Merini poetessa del niente”, e poi “inutile”, “sopravvalutata”, “sopraelevata”, “superficiale”, “baci Perugina”, “Merini niente”, “Merini nulla” e arrivato dopo un viaggio stremante a un liberatorio “Merini m...”, chiedo scusa ma è la realtà, ne sono uscito sconfitto: persino con Merini m… è uscita una poesia scritta da lei. Mi sono trovato come Fantozzi davanti alla statua della madre del Mega Presidente Galattico immortalata nel marmo mentre faceva la maglia.

Sistema doloroso

Ancora frastornato da aforismi, libri, versi, aforismi per ogni ricerca ho adottato il sistema più doloroso. Andare a rileggermi l’opera omnia della fu Merini Alda. Ne sono uscito quasi vivo, dopo tre settimane esatte, già tentato di firmare quest’articolo con “il fu Gian Paolo Serino”.

Privo di ogni forze mi accascio sulla tastiera. Mi sveglio dopo mesi. E ritrovo trascritte qualcuna delle sue poesie ritenute più “belle”. Eh sì, perché oltre a “che bella poesia”, “che anima infelice”, “una grande poetessa” non è che, anche nei discorsi accademici dei filologi, i giudizi siano poi tanto diversi. Penso al mio sodale Federico Roncoroni, che condivide con me questo mio giudizio sulla Merini e l’affanno scompare. Anche se poi mi imbatto ne “La carne degli angeli” che così recita:

«Un punto è l’embrione

un secolo di vita

che ascolta l’universo

la memoria del mondo

fin dalla creazione.

L’uomo che nascerà

è un’eco del Signore

e sente palpitare in sé

tutte le stelle»

Controllo sull’opera omnia della Merini se non sia una poesia scritta da un bambino delle elementari per raccontare la vita. Purtroppo è proprio la Merini: mancano “cielo, cuore e amore” e, con qualche cambiamento, sarebbe un testo perfetto.

Mi tocca poi “La città nuova”:

«Ecco un bianco scenario

per tratteggiarvi l’accompagnamento

degli oggetti di sfondo che pur vivono.

Non ne sarò l’artefice impaziente.

Berrò alle coppe della nostalgia,

avrò preteso d’ozio nelle lacrime…

perché non mi ribello alla natura:

la mia lentezza li esaspera…

La mia lentezza? No, la mia fiducia.

Per adesso è deserto.

Il mondo può rifarsi senza me,

e intanto gli altri mi denigreranno»

Mi sorge il dubbio, ma Rimbaud non aveva scritto qualcosa di simile? È vero, l’enfant prodige della poesia francese ha scritto: «La mia paura è che la gente mi veda come io vedo la gente». In confronto la Merini è carta da parati e persino in ritardo anche di due secoli rispetto al Rimbaud delle “Illuminazioni” ma anche al Baudelaire che nell’epistolario completo (edito nel 1981 in tre volumi da Cappelli editore) scrive: «Il mio cuore diventerà un blocco rosso e gelido».

Invece sono solo le mie mani a diventare gelide. Quando mi imbatto nei suoi aforismi: «Io sono con te in ogni maledetto istante che ci vuole dividere e non ci riesce». Però, che fantasia! Che mirabile sentimentalismo. Ma è Laura Pausini? No, la Merini. Prosit: «Beati coloro che si baceranno sempre al di là delle labbra, varcando il confine del piacere, per cibarsi dei sogni». Qui la poetessa “Perugina” compone versi da Vangelo Apocrifo con copertina in lana Merinos. Finalmente vedo la fine: «La pistola che ho puntato alla tempia si chiama Poesia».

Genio del marketing

Adesso capisco tutto. La Merini deve essere un prodotto commerciale pensato da un genio del marketing editoriale per far risorgere il genere “poesia” che di solito non vende mai. Questa l’unica spiegazione. Ma la Merini è colpevole non solo di associazione a delinquere di stampo immaginario, ma di aver prodotto tanti piccoli “Merini”: poeti, poetelli, poetastre, autopoetesse che sotto il suo nume tutelare autopubblicano i propri versi, li fanno pubblicare da editori sconosciuti e collezionano anche 20 volumi di proprie antologie.

Cari piccoli Merini, ma se dopo venti o trenta volumi non avete pubblicato nella Collana Bianca di Einaudi o nei Tascabili Feltrinelli o con case editrici a livello nazionale, perché vi ostinate a pubblicare? Se proprio è un afflato poetico che non riuscite a placare leggetevi da soli allo specchio. È uguale.

I piccoli Merini crescono, sono dappertutto, ci circondano: sono i poeti della porta accanto, della scrivania di fronte in ufficio, sempre pronti a regalarvi la loro ultima opera. Se proprio non vi ho convinto pensate a questo: negli ultimi vent’anni quanto avete pubblicato? Quanti premi e premietti, medaglie e medagliette di concorsini di poesia ( i concorsi andrebbero lasciati ai cavalli) avete esibito ai vostri sfortunati vicini e pochi lettori? Pensateci: perché intanto “Uomini e Donne” di Maria De Filippi quest’anno è giunto alla ventitreesima edizione. Cosa avete cambiato? Nel mondo, nella società, con i vostri versi? Un mondo migliore? Ripensate a ciò che ha scritto Benedetto Croce (frase ripresa tante volte da Fabrizio De André, tanto che in molti ormai la attribuiscono a lui): «Fino a 20 anni tutti scrivono poesie; dopo i vent’anni rimangono due categorie: i poeti e i cretini».

Vedete voi.

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