Premio Manzoni Lecco
E’ l’ora della verità

Sabato 22 ottobre alle 21 la proclamazione, decidono cento giurati popolari

Le buste con i verdetti aperte in diretta al Teatro della società. Ingresso libero

Il Teatro della Società a Lecco, ospiterà sabato 22 ottobre alle 21 la serata finale della dodicesima edizione del Premio Internazionale Alessandro Manzoni- Città di Lecco al romanzo storico.

I tre romanzi finalisti sono “L’uomo del futuro” (Mondadori) di Eraldo Affinati, “Noi che gridammo al vento” (Einaudi) di Loriano Macchiavelli, “Il giardino delle mosche” (Ponte alle Grazie) di Andrea Tarabbia. Tre autori di rilievo con cui dialogheranno, sul palco del Teatro della Società, Ermanno Paccagnini, presidente della giuria tecnica, nonché docente universitario e critico letterario tra i più noti oggi in Italia, e Stefano Motta, scrittore e studioso del Manzoni.

I tre romanzi che si contenderanno la vittoria finale sono stati scelti dagli otto membri della giuria tecnica presieduta da Paccagnini, ma saranno i cento giurati popolari a decidere il vincitore.

Le buste contenenti i verdetti saranno aperte in diretta durante la serata della finale. Un cambiamento di rotta, questo, che ha determinato anche scelte coraggiose. Sia nella scorsa edizione, infatti, che in quella di quest’anno sono stati ammessi alla finale romanzi storici ambientati nel Novecento. «Capisco che quando si usa la definizione “romanzo storico” si pensa sempre a periodi molto lontani da noi. – dice Paccagnini - Invece, laddove i fatti non sono più cronaca e sono diventati storia, narrarli ti pone automaticamente dentro la tipologia narrativa premiata al Manzoni. Le nostre scelte prescindono dal periodo storico, noi giudichiamo solo ed esclusivamente la qualità delle opere che analizziamo. Quest’anno abbiamo scelto tre romanzi molto diversi ma che sono perfettamente dentro la linea del romanzo storico così come era inteso da Alessandro Manzoni».

In effetti i tre romanzi finalisti indagano la nostra storia recente sia pur da punti di vista molto diversi. Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, in “L’uomo del futuro” ripercorre le strade della vita di don Lorenzo Milani, l’autore della famosa “Lettera a una professoressa”. «Il mio libro – ci ha detto lo stesso Affinati - più che un romanzo è un reportage interiore. E’ un viaggio non solo nei luoghi di don Lorenzo Milani ma anche dentro me stesso. Io sono un insegnante e quando entro in classe non posso non pensare alla grande lezione della scuola di Barbiana. Ho insegnato trent’anni negli istituti tecnici a quelli che potrebbero essere i ragazzi di Barbiana di oggi». Affinati, poi, non si è limitato all’Italia, ma la sua ricerca l’ha portato in tutto il mondo: «In questo mio viaggio non mi sono fermato solo nei luoghi di don Milani, ma ho cercato in tutto il mondo, dall’India a Città del Messico, quegli educatori di frontiera che senza conoscerlo ne continuano il percorso, riproponendone lo spirito».

È invece ambientato nel 1980 “Noi che gridammo al vento” (Einaudi) di Loriano Macchiavelli. Ma tutta la vicenda si rifà ad uno dei misteri irrisolti della nostra Italia: la strage di Portella della Ginestra in Sicilia. Qui, il 1° maggio 1947 vennero uccise quattordici persone e ne furono ferite altre trenta. Stavano festeggiando la vittoria del Blocco del Popolo alle ultime elezioni regionali, quando vennero colpiti dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano e da altri sulla cui identità non si è mai riusciti a fare piena luce. «È un romanzo – ha precisato Loriano Macchiavelli - che racconta la vita di alcuni personaggi che hanno vissuto la strage e si ritrovano trentatré anni dopo. Sono loro che rivivono quella storia pur da diversi punti di vista. E tra loro ci sono molte donne. Ho scoperto che in Sicilia le donne sono state protagoniste di un pezzo di storia. Erano loro che scioperavano al posto degli uomini, eternamente ricattati dalla mafia. Per questo mi è sembrato giusto rendere loro omaggio. Questa gente mi ha ricordato che bisogna ricordare».

Terzo finalista (ovviamente in ordine alfabetico) è Andrea Tarabbia con “Il giardino delle mosche” (Ponte alla Grazie). Il romanzo racconta la storia di Andrej ČChikatilo, il serial killer più efferato del Novecento, capace di mutilare e uccidere, nei modi più orrendi, almeno cinquantasei persone.

«Volevo raccontare la fine di un mondo – ha spiegato Tarabbia - e Andrej ČChikatilo, che credeva nella rivoluzione comunista, ne era la metafora perfetta. Inoltre era un personaggio che mi dava la possibilità di approfondire un tema a cui tengo molto, quello del rapporto tra bene e male che è una delle grandi questioni della letteratura».

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