"Il Governo teme i giovani
per questo taglia l'istruzione"

J'accuse del direttore della Normale di Pisa, il 21 novembre a Como alle Ratti Lectures. "Errore politico e culturale penalizzare gli atenei virtuosi come quelli pessimi"


di Barbara Faverio

Una scuola che premia il merito e punta alla formazione di menti critiche, mentre subisce tagli indiscriminati di risorse. È la contraddizione dolorosa in cui si trova la Normale di Pisa, gloriosa istituzione scolastica diretta dal 1999 dall’archeologo Salvatore Settis, che il 21 novembre alle 21 sarà in biblioteca ospite della Fondazione Ratti, dove parlerà di tutela del paesaggio.

Professor Settis, qual è lo specifico della Normale di Pisa nel panorama dell’università italiana?

La Scuola Normale di Pisa è una scuola di eccellenza, una scuola molto piccola, con allievi molto bravi, che vengono selezionati sulla base di un concorso severissimo. Questi ragazzi poi fanno un curriculum interno molto selettivo e rigoroso; se non sostengono ogni anno tutti gli esami con la media del 27 perdono il posto.

Perché si chiama Normale?

Perché è stata fondata da Napoleone come succursale della Scuola Normale di Parigi: una scuola che doveva dare la norma agli insegnanti.

L’ha definita «scuola d’elìte e base egualitaria»: cosa significa?

La Normale forma l’elìte del paese: basti pensare che fra i nostri allievi abbiamo avuto due presidenti della Repubblica - Gronchi e Ciampi -, tre Nobel - Carducci, Fermi e Rubbia - e tre presidenti del Consiglio. Però è a base assolutamente egualitaria perché il concorso è basato esclusivamente sul merito e una volta che uno entra alla scuola non paga nulla: non ci sono tasse, e l’accesso a mensa, alloggio, libri e lezioni è gratuito.

Cosa cercate nei vostri allievi, al di là della preparazione?

Cerchiamo in primo luogo il talento e lo spirito critico, la capacità di ragionare. Non guardiamo nemmeno il voto di media con cui arrivano alla maturità, possono avere il massimo o il minimo: gli facciamo un esame noi, un esame molto severo, con cui cerchiamo di vedere se, oltre a sapere un certo numero di cose, sono capaci di ragionare. Possono anche dimenticarsi una data, ma devono dimostrare di saper lavorare sulla connessione tra i fatti, i problemi, gli eventi storici. Quando Ciampi venne in visita alla Normale, un allievo gli chiese come mai avesse studiato letteratura greca per poi fare tutt’altro e il presidente diede una risposta bellissima: è la stessa cosa, disse, qui dentro ho imparato a ragionare, e quando uno impara il metodo del ragionamento lo può applicare a tante cose, alla Banca d’Italia come al Quirinale.

Cosa pensa della riforma Gelmini?

La riforma Gelmini deve ancora venire. Quello che è successo fino a questo momento è che ci sono stati dei tagli decisi non dalla Gelmini ma da Tremonti, tagli all’università fatti molto male perché alla cieca. Hanno tagliato tutti, più bravi e meno bravi, le università con il bilancio in rosso e quelle con il bilancio più virtuoso. Poi c’è stato un decreto Gelmini che ha corretto in parte questi tagli, e da questo punto di vista è stato positivo; dallo stesso ministro sono poi arrivare delle linee-guida sul futuro dell’università che sono, in generale, delle idee positive, ma che bisognerà vedere come si tradurranno in pratica.

Anche voi avete subito tagli?

Certamente, i tagli li hanno subiti tutti in misura proporzionale al bilancio. Trovo che sia quanto di più irragionevole si possa fare. La crisi economica c’è, e per tutti, però invidio i francesi perché il presidente Sarkozy ha dichiarato in un discorso pubblico del 4 ottobre: c’è una grave crisi economica, dobbiamo tagliare tutto ma non taglieremo l’università e la scuola, perché fare cultura vuol dire investire sul futuro dei giovani. Se le cose stanno così, il nostro governo ha paura del futuro e ha paura dei giovani.

Su che cosa risparmierete alla Normale?

Stiamo facendo il bilancio, la prima riunione è stata ieri, non si può ancora dire. Ma saremo obbligati a risparmiare, quindi probabilmente lo faremo sui servizi che diamo a questi giovani bravissimi, e non è una bella idea. Daremo meno libri, risparmieremo un po’ su tutto ed è un peccato che questo venga fatto quando il nostro bilancio è sanissimo. I tagli a noi e agli altri atenei virtuosi sono un errore tecnico, culturale e politico.


Quali correttivi apporterebbe all’università italiana?

La correzione di tiro di cui abbiamo più bisogno credo che sia rendere l’Italia parte dell’Europa. Noi abbiamo adottato per il reclutamento dei professori criteri assolutamente bislacchi, che fanno ridere tutti i colleghi degli altri paesi d’Europa, e purtroppo questi sono ormai così radicati che è difficilissimo cambiarli. Credo che a questo scopo la prima cosa da fare sia creare commissioni di valutazione internazionali: non capisco per quale ragione io posso essere, e sono stato molte volte, membro di commissione per cattedre in Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, mentre nelle nostre commissioni non possono esserci professori americani, francesi, inglesi o tedeschi. Dobbiamo internazionalizzare tutti i sistemi di valutazione, è una cosa urgentissima senza la quale l’Italia si provincializza sempre di più.

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