L’incontro di Riella con figlia e avvocato: «Mi sono curato con erbe e fango»

Gravedona L’ex fuggiasco detenuto nel carcere di Opera ha raccontato il ferimento nel bosco. La cattura in Montenegro mentre faceva la spesa: «Accerchiato dagli agenti nel supermercato»

«L’ho incontrato nel carcere di Opera. È in buone condizioni, anche se non muove ancora bene un braccio a causa della ferita alla spalla». Roberta Minotti, legale che assiste Massimo Riella, racconta così la sua visita al fuggiasco di Brenzio, estradato finalmente nelle scorse settimane dal Montenegro, dove si trovava dal mese di luglio.

«Gli ho lasciato le carte del processo da studiare – prosegue l’avvocato – Il tribunale è la prossima tappa che ci attende». La ferita dovrebbe essere quella che il prigioniero si era procurato a maggio nei boschi altolariani, quando aveva accettato di incontrare uno degli agenti penitenziari del Bassone a cui era sfuggito il 12 marzo, arrivato fin lì assieme al padre del latitante. Il “Petit”, come viene chiamato Riella nel territorio, stando alla versione fornita a suo tempo da papà Domenico e poi confermata dal figlio stesso, non aveva accettato di consegnarsi e, mentre si stava allontanando, l’agente gli avrebbe esploso contro più colpi di pistola alla schiena.

Il processo, invece, si rifà al discusso episodio accaduto nell’ottobre 2021 ai danni di una coppia di anziani contadini di Consiglio di Rumo: un rapinatore incappucciato entrò dal terrazzo e, dopo aver minacciato e malmenato marito e moglie, si fece consegnare quel che avevano in casa, circa 700 euro, prima di dileguarsi. Riella venne notato nei pressi dell’abitazione a un orario compatibile e sul coltello caduto in casa al malintenzionato vennero rinvenute le sue impronte digitali; per contro, le vittime descrissero l’uomo come piuttosto basso e tarchiato, mentre il “Petit” è un longilineo. Nel carcere di Opera si è recata anche Silvia, la figlia maggiore.

«L’ho trovato bene – dice – È una sede che gradisce, anche perché mi ha raccontato che non c’è paragone con le carceri del Montenegro». Da tempo Silvia non lo vedeva e non lo sentiva e c’è stato il tempo anche per rievocare determinati episodi dei mesi addietro: «Mi ha raccontato di quel giorno in cui l’agente penitenziario gli ha sparato alla schiena nel bosco – riferisce la figlia – Il proiettile era entrato nella spalla e fuoriuscito e lui si è curato la ferita con fango ed erbe del bosco, come insegnatogli da mio nonno da piccolo. Mi ha anche detto com’è riuscito a raggiungere il Montenegro, facendo buona parte del viaggio a piedi e in bicicletta». Anche in merito all’arresto in terra straniera, Riella ha fornito una versione diversa da quella girata ufficialmente.

«Avevo letto che sarebbe stato preso a casa di qualcuno che lo ospitava – dice la figlia – invece, in base a quanto mi ha detto lui, si trovava a fare un po’ di spesa in un centro commerciale, che a un certo punto è stato evacuato. Così si è trovato solo con decine di agenti intorno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA