«Storia di amerigo
che forse era figlio
di buffalo bill»

Mio nonno andò veramente al “Wild East Show”, lo spettacolo che Buffalo Bill tenne a Ravenna nel 1906. Dai suoi racconti e dalle tante leggende che ne scaturirono è nato questo mio romanzo».

Così Eraldo Baldini ci spiega la scintilla da cui è nato il suo romanzo “Stirpe selvaggia” (Einaudi), uno dei tre finalisti del Premio Manzoni al romanzo storico. Accanto a lui, sabato 28 ottobre alle 21 all’Auditorium della Casa dell’Economia (ingresso libero), siederanno Valerio Callieri, autore di “Teorema dell’incompletezza” (Feltrinelli) e Gianfranco Calligarich con “La malinconia dei Crusich” (Bompiani).

Sono loro i tre scrittori che si contenderanno la vittoria della tredicesima edizione del Premio Manzoni organizzato dall’Associazione Nazionale 50&Più, in collaborazione con Assocultura Confcommercio Lecco, il Centro Nazionale di Studi Manzoniani, il Comune di Lecco e che ha come media partner il quotidiano “La Provincia di Lecco”. Sabato sera in diretta lo spoglio delle schede dei cento giurati popolari.

Il romanzo di Eraldo Baldini narra la storia di Amerigo, un ragazzino che cresce con la madre Giulia senza aver mai conosciuto il padre. Questo sino a quando, nel 1906, Buffalo Bill arriva a Ravenna ed Amerigo scopre di essere figlio proprio del mitico eroe americano. A nove anni è una bella scoperta ma anche una cocente disillusione visto che il grande Buffalo Bill non lo vuole incontrare. Da allora Amerigo sceglierà di stare con gli indiani con tutto quello che questo avrebbe comportato.

Prima di parlare del suo romanzo ci può dire che effetto le ha fatto partecipare a un premio intitolato ad Alessandro Manzoni?

Innanzitutto mi sono sentito indegno. Poi ho pensato che il livello della letteratura contemporanea è ben lontano dai Promessi Sposi. Insomma di Manzoni in giro oggi non ce n’è e, dunque, mi sono consolato.

Lei ha accennato alle leggende che nacquero dopo lo spettacolo di Buffalo Bill a Ravenna. Ce ne vuole parlare?

Quello fu un avvenimento che colpì l’immaginario di un’intera comunità. Fu l’inizio di un’epica leggendaria. Iniziarono a girare diverse dicerie, soprattutto legate a possibili figli del personaggio americano che aveva attraversato la Romagna. Eppure Buffalo Bill restò a Ravenna solo un pomeriggio e una notte, ma le voci di popolo favoleggiarono non poco sul suo essere un impenitente dongiovanni.

Al di la dei luoghi comuni Buffalo Bill lasciò veramente un segno in quella Romagna d’inizio Novecento?

Basti dire che nella Romagna degli anni Venti una casa editrice di Faenza pubblicò una collana di narrativa che aveva come protagonista proprio Buffalo Bill. Con il fascismo, che non amava i personaggi stranieri, le pubblicazioni furono sospese. Ci fu allora una vera e propria sollevazione popolare. Il regime trovò una via d’uscita, inventando di sana pianta delle origini romagnole per Buffalo Bill, che improvvisamente si trovò nativo di un paesino vicino a Predappio, paese natale del duce. Ma si fece ancora di più. Si individuò addirittura il suo vero nome: Buffalo Bill era nient’altro che Domenico Tambini, un romagnolo emigrato in America. Fu una leggenda che andò avanti per tutto il fascismo e di cui il primo a non saperne niente fu sicuramente lo stesso Tambini.

Che bambino è questo Amerigo, selvaggio come gli indiani che ha scelto come modello?

E’ un personaggio che si trova a dover interagire con la grande storia della prima metà del Novecento. Lo deve fare anche se lui cerca di sfuggirle in tutti i modi. La grande storia però lo cattura. Potremmo dire che è un antieroe costretto a fare l’eroe suo malgrado. Amerigo vive profondamente il dualismo tra la grandezza che impone la storia e la natura in cui si trova a vivere. Lui tra Buffalo Bill e gli indiani sceglie questi ultimi. Innanzitutto per protesta contro un padre che non lo vuole conoscere ma in secondo luogo come presa di posizione esistenziale: essere un selvaggio dentro la natura è la sua massima aspirazione.

Si è divertito a raccontare questa storia attraverso gli occhi di un bambino?

Lo faccio spesso ed è una caratteristica di molti altri miei personaggi, come il protagonista del mio romanzo “L’uomo nero e la bicicletta blu”. Molte cose che racconto in quelle pagine sono ricordi della mia giovinezza. I personaggi bambini li maneggio con una certa naturalezza, forse anche perché non sono mai cresciuto del tutto.

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